Colletto dentale scoperto: cos’è, cause e rimedi

Se di recente ti ha dato fastidio bere o mangiare alimenti molto caldi e molto freddi, è opportuno fare un controllo dei tuoi colletti dentali. Il colletto dentale scoperto è una delle tante patologie che possono colpire la bocca. Dente e gengiva perdono di aderenza, la gengiva si ritrae e la porzione del dente senza protezione mostra sensibilità alla temperatura.

In questo articolo raccogliamo tutto ciò c’è da sapere sul colletto dentale: cos’è, con quali sintomi ci si può insospettire, quali sono le cause e infine i rimedi per un colletto dentale scoperto.

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Colletto dentale: cos’è 

Il colletto del dente è la porzione dentale che si trova tra dente e gengiva. Solitamente è una zona del tutto coperta e aderente ai tessuti molli gengivali, ma in alcune situazioni può perdere queste proprietà formando delle “sacche” popolate da batteri. I denti che sono più soggetti ad avere un colletto dentale scoperto sono gli incisivi e i canini, ma può capitare che la condizione interessi anche premolari e molari.

 

Colletto dente scoperto: sintomatologia 

Un colletto dentale scoperto si origina dalla ritrazione delle gengive che può avvenire per diversi motivi. Sono molti i sintomi, veri e propri campanelli d’allarme, che permettono di riconoscere fin da subito l’inizio della ritrazione gengivale. Quello principale è senza dubbio la sensibilità dentale. Questa si manifesta nel momento in cui assumiamo cibi e bevande troppo caldi o troppo freddi. La sensazione è quella di un dolore acuto e persistente che si ripete a ogni occasione.

Un altro sintomo è semplicemente la ritrazione stessa. Se guardandoci allo specchio durante la pulizia quotidiana notiamo che i nostri denti appaiono più lunghi del solito, probabilmente significa che le gengive si stanno ritirando. Il dolore alle gengive è il terzo sintomo del colletto dei denti scoperto. Esso è localizzato in corrispondenza della zona interessata dalla ritrazione ed è anche in questo caso un fastidio persistente nel tempo.

Altri sintomi che permettono di riconoscere un colletto dentale scoperto sono le carie, l’alitosi e il sanguinamento frequente delle gengive. In particolare, l’alitosi è spesso il primo segnale di molte infiammazioni dentali e della bocca in generale.

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Colletti dentali scoperti: cause   

Perché i colletti dentali si scoprono? Le cause del sopraggiungere di questa condizione possono essere molte. Quella più comune in assoluto riguarda l’uso scorretto dello spazzolino e una scarsa igiene orale. Mentre ci si lava i denti si dovrebbe utilizzare uno spazzolino a setole morbide e si dovrebbe evitare di spazzolare troppo energeticamente: l’azione può infatti corrodere il tessuto gengivale e rendere i denti sensibili.

La ritrazione gengivale può anche essere causata da una generica infezione alle gengive che può evolvere in una parodontite, ovvero in un’infezione che coinvolge tutto l’apparato di sostegno del dente (osso, gengiva e legamento parodontale). Il colletto del dente scoperto può manifestarsi per una predisposizione genetica o per la struttura della gengiva stessa.

Anche la presenza di un piercing al labbro o alla lingua può scatenare l’infezione delle gengive, che vengono irritate e danneggiate dal nuovo oggetto presente in bocca. Il bruxismo può essere un’altra causa del colletto dentale scoperto: la masticazione involontaria continua mette sotto stress la gengiva che col tempo inizia il processo di ritrazione. Infine, anche anoressia e bulimia possono essere considerate delle cause scatenanti. L’acidità dei succhi gastrici espulsi frequentemente da persone che soffrono di queste condizioni vanno a innescare un processo di erosione che danneggia sia lo smalto dei denti, che le gengive.

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Colletto dentale scoperto: rimedi 

In presenza di un colletto dentale scoperto sono tre rimedi possibili. Il più adatto viene scelto dal dentista di fiducia in base alla gravità della situazione e alla condizione generale della bocca del paziente.

  • Il primo metodo è la creazione di una otturazione in composito. In questo caso, tramite una tecnica adesiva, si applica uno strato in composito in corrispondenza dei colletti dentali scoperti. In questo modo vengono chiuse eventuali sacche batteriche e viene coperta la porzione sensibile del dente.
  • Il secondo metodo è simile al primo e implica l’applicazione di faccette dentali in ceramica. Invece di creare un’otturazione, qui si preferisce utilizzare sottili lamine in ceramica di uno spessore di circa 0,7 mm. Le faccette vengono messe sulla superficie dei denti modificandone forma, colore, lunghezza e posizione. Esse proteggono il dente e scongiurano un suo deterioramento nel tempo.
  • Per il terzo metodo, che riguarda i casi più gravi di colletti dentali scoperti, si può optare per un vero e proprio intervento chirurgico. Durante l’operazione si riportano le gengive ritirate alla loro posizione originale facendole scorrere e, eventualmente, applicando un innesto per aumentarne lo spessore.

Per preservare la salute del colletto dei denti bisogna fare molta attenzione all’igiene quotidiana e al modo in cui viene fatta. Lo spazzolino per denti sensibili va usato in combinazione con collutorio e filo interdentale. Oltre all’igiene quotidiana, è importante concedersi una visita periodica di controllo con il proprio dentista ed eseguire una igiene orale professionale almeno una volta all’anno.

Leggi anche l’articolo: Biofilm batterico e denti

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Biofilm batterico e denti

La nostra bocca è colonizzata da più di 400 specie di batteri. Si tratta di un’ecosistema molto complesso, difficile da mantenere in uno stato di equilibrio. Questi batteri vivono nella nostra bocca sia in forma libera, che in colonie organizzate chiamate con il nome di “biofilm batterico“. Vivere assieme per loro è vantaggioso perché cooperano riuscendo a procurarsi i nutrienti necessari, a riprodursi e a proteggersi dall’ambiente esterno (e dai farmaci con cui cerchiamo di attaccarli).

La formazione di un biofilm orale non sempre è una buona notizia e in questo articolo spieghiamo il perché.

Biofilm batterico – definizione

Con il termine biofilm batterico o “formazione biofilm” si indica un aggregato di microrganismi che si circondano di una matrice polimerica in grado di tenerli insieme e ancorarli saldamente a una superficie. Questa matrice è formata da zuccheri, DNA e proteine.

La formazione di un biofilm può avvenire in moltissime zone del nostro corpo e quando accade favorisce la nascita e la crescita di colonie che danno generalmente il via a delle infezioni. I biofilm sono per i batteri una sorta di scudo di protezione, capace di renderli molto più resistenti agli antibiotici di quanto lo siano quelli in forma fluttuante. Per questo, la prevenzione svolge un ruolo fondamentale nella gestione del rischio di formazione di un biofilm batterico orale e non.

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Formazione biofilm batterico – denti

Conosciuto sia come biofilm orale, che più comunemente come placca batterica, ha le stesse caratteristiche dei biofilm che si formano in altre zone del corpo. Tuttavia quando il biofilm batterico è sui denti è in grado di favorire l’esordio di patologie ben precise e molto serie. Per questo motivo, è importante prevenirne la formazione o intervenire in modo professionale per rimuoverlo.

Prima di capire come fare, facciamo un passo indietro per raccontare il processo di formazione del biofilm. Come si crea la placca dentaria? Il processo di formazione del biofilm batterico che si attacca ai denti inizia in modo spontaneo. Le fasi che i batteri seguono sono:

  • Adesione: i microrganismi raggiungono una superficie e aderiscono ad essa.
  • Colonizzazione: le cellule microbiche formano delle vere e proprie colonie.
  • Formazione: le cellule dei batteri creano la matrice extracellulare che è alla base del biofilm maturo.
  • Crescita: le cellule si organizzano per permettere il passaggio di acqua e nutrimenti.
  • Dispersione: quando il biofilm batterico è ben solido ed organizzato se ne staccano alcune porzioni per andare a colonizzare altre superfici.

Biofilm batterico che si attacca ai denti nel cavo orale: condizioni patologiche

Il biofilm batterico che si attacca ai denti è il principale responsabile delle infezioni croniche che danno origine a tre delle più diffuse patologie dentali.

  • La prima è la carie: se il biofilm include batteri capaci di convertire gli zuccheri in acidi, lo smalto dei denti viene corroso, dando origine alle carie.
  • Poi abbiamo la gengivite: si tratta di un’infezione cronica causata da batteri in grado di attaccare i tessuti che sostengono il dente, ovvero le gengive.
  • La terza patologia causata da un biofilm batterico sui denti è la parodontite. La parodontite è “l’evoluzione” della gengivite non curata. In casi estremi, la parodontite può portare addirittura alla caduta del dente sostenuto dalla gengiva corrotta.

Proprio perché il biofilm batterico orale è così pericoloso, è importante prevenirlo con tutti i mezzi che abbiamo a disposizione.

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Biofilm batterico orale: soluzioni

Il processo di formazione del biofilm sui denti è molto rapido e se non è interrotto alle prime fasi diventa presto responsabile delle più comuni patologie del cavo orale. Le quattro tecniche di prevenzione principali sono:

  • Spazzolare i denti in modo corretto con lo spazzolino dopo i pasti.
  • Usare il filo interdentale.
  • L’igiene orale professionale, eseguita periodicamente da un dentista. Questa è più accurata e profonda della classica spazzolatura e usa diverse tecniche per neutralizzare eventuali biofilm batterici che si attaccano sui denti.
  • Se necessario, scegliere e usare il giusto collutorio con l’aiuto di un professionista.

Quando si parla di collutori e antibatterici, la clorexidina è considerata uno degli agenti con la maggior efficacia. Grazie alla sua componente battericida, la clorexidina agisce contro i biofilm batterici aumentando la permeabilità della loro membrana cellulare, causando la precipitazione delle sostanze al loro interno e provocando così la morte delle cellule.

Per la sua composizione dal punto di vista chimico, la clorexidina risulta poco solubile in acqua. Per questo motivo nei presidi medici e nei collutori in cui è contenuta viene quasi sempre combinata con l’acido gluconico, capace di rendere la soluzione idrosolubile al fine di un utilizzo più facile e sicuro per i pazienti.

Un uso improprio e un abuso di collutori e sostanze a base di clorexidina può portare solitamente a una serie di effetti collaterali spiacevoli, come le discromie dentali. Per questo è molto importante che sia il dentista a consigliare e prescrivere il collutorio più adatto alla propria situazione.

Leggi anche l’articolo: Frenulo bocca: cos’è, tipologie, patologie e cure

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Frenulo bocca: cos’è, tipologie, patologie e cure

Possiamo pensare alla bocca come un delicato equilibrio di forze: tutte le sue strutture, anche le più piccole, giocano un ruolo importante per la salute del cavo orale. Ecco dunque il motivo per cui oggi parliamo di frenuli. Il frenulo della bocca è un piccolo lembo di tessuto che viene spesso sottovalutato e trascurato. Ne esistono tre ed è importante tenerli tutti sotto controllo fin dalla più tenera età.

I frenuli infatti possono presentare delle anomalie, spesso legate alla loro lunghezza e larghezza. Queste situazioni possono portare a conseguenze patologiche sia a livello logopedistico, che a livello di deglutizione e respirazione. Le visite per il controllo dei frenuli vanno fatte fin da piccoli proprio perché già allora il dentista è in grado di stabilire se ci possono essere delle problematiche e può così risolverle velocemente. Anche un adulto può curare i propri frenuli se non l’ha mai fatto in passato, ma con la consapevolezza che alcune condizioni potrebbero impiegare molto più tempo a risanarsi.

In questo articolo esploriamo a fondo le caratteristiche dei frenuli, tutte le anomalie che li possono interessare e le tecniche utilizzate oggi per trattarle.

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Frenulo bocca – cos’è

Il frenulo bocca è un piccolo lembo di tessuto che collega le strutture del cavo orale. Li possiamo immaginare come dei fili elastici, che guidano e rendono possibili i movimenti di lingua e labbra. Il frenulo della bocca ha tre caratteristiche: una propria lunghezza, un proprio spessore e un punto di inserzione. L’inserzione del frenulo rappresenta il punto in cui termina e si lega ad un’altra struttura della bocca. Osservare l’inserzione permette di valutare sia se la lunghezza, che lo spessore del frenulo sono adeguati o hanno bisogno di essere modificati dal dentista.

 

Frenuli tipologie: frenulo labiale superiore e frenulo labiale inferiore

Nella bocca esistono tre tipologie di frenuli. Ognuna di queste è responsabile del collegamento tra due strutture del cavo orale. Salvo condizioni particolari, le possediamo tutte e tre fin dalla nascita.

  • Il frenulo linguale è il piccolo lembo di tessuto che collega la lingua al pavimento orale. Questo collegamento permette e guida tutti i movimenti della lingua.
  • Il frenulo labiale superiore è il primo dei due frenuli labiali e connette il labbro superiore alla gengiva a livello degli incisivi centrali.
  • Il frenulo labiale inferiore collega invece il labbro inferiore alla gengiva, sempre in corrispondenza degli incisivi centrali.

Qualsiasi frenulo della bocca può essere oggetto di malformazioni e può causare patologie, prima nel bambino e poi nell’adulto. Controllarli e curarli tutti e tre è importante per la salute di tutto il cavo orale.

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Frenuli – patologie

Facciamo dunque un excursus delle patologie più comuni dei frenuli della bocca, ordinandole per tipo.

  • Il frenulo linguale è l’unico dei tre che può essere interessato da una lunghezza ridotta. Quando è così, esso limita i movimenti della lingua, ostacolando nel bambino l’apprendimento della fonazione, della deglutizione e della respirazione corretta. Se non trattato, può influenzare negativamente lo sviluppo di mascella e mandibola.
  • Il frenulo labiale superiore può essere invece affetto da ipertrofia o può presentare una inserzione anomala. Nel primo caso il frenulo labiale è troppo spesso e va ridotto, mentre nel secondo termina in una zona molto più vicina ai denti della norma. Entrambe le condizioni danno origine a un diastema, ovvero alla creazione di uno spazio tra gli incisivi centrali superiori.
  • Il frenulo labiale inferiore può infine esercitare una trazione eccessiva sui colletti dentali. Ciò è stabilito dai rapporti di posizione e distanza tra le strutture orali interessate. Una trazione troppo intensa può, nel tempo, portare a una recessione gengivale in corrispondenza degli incisivi centrali inferiori.

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Frenulo della bocca – cure

La diagnosi ai frenuli va fatta da un ortodontista, preferibilmente in tenera età, così da intervenire il prima possibile. Solitamente l’ortodontista si avvale della consulenza dell’odontoiatra pediatrico. Ecco dunque le tecniche oggi utilizzate per curare le condizioni appena descritte:

  • Di fronte a un frenulo linguale corto si opta generalmente per un intervento di chirurgia con una leggera anestesia locale. Il frenulo viene così rimosso. Questa operazione può essere fatta fin dalla nascita del bambino e, una volta portata a termine, si consiglia l’affiancamento a un logopedista per garantire la ripresa corretta della fonazione.
  • Prima di intervenire sul frenulo labiale superiore si deve aspettare l’eruzione completa dei canini permanenti. Il loro arrivo può infatti determinare la chiusura spontanea del diastema. Se così non fosse, si interviene con un apparecchio ortodontico.
  • Come per il frenulo linguale, anche per il frenulo labiale inferiore si opta per una frenulectomia. L’intervento viene eseguito precocemente solo quando c’è un danno parodontale. Le modalità dell’intervento sono le stesse.

Queste sono tutte le cure che vengono messe in atto per risolvere condizioni patologiche legate al frenulo della bocca in tutte le sue tipologie. La frenulectomia, ovvero la recisione del frenulo, può essere portata a termine con la tecnologia laser: sicura e precisa anche in questa situazione.

Leggi anche l’articolo: Ortodonzia linguale: cosa è, tipologie e vantaggi

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Ortodonzia linguale: cosa è, tipologie e vantaggi

Negli ultimi anni l’ortodonzia linguale è diventata sempre più richiesta e popolare. Il motivo è semplice: si tratta di un apparecchio fisso come quelli che siamo abituati a conoscere, ma a differenza loro è sostanzialmente invisibile. L’apparecchio è applicato infatti sulla superficie linguale del dente (quella interna, per intenderci) e questo lo rende impossibile da notare per chi ci sta di fronte.

Anche se a primo impatto può sembrare una tecnica ortodontica innovativa, in realtà l’apparecchio fisso linguale esiste già da qualche decennio. Il pioniere è stato il dottor Craven Kurz, che già nel 1976 lanciò il suo primo “linguale a bretelle”. Negli anni la tecnica e cambiata molto e si è migliorata sotto tutti i punti di vista: oggi l’apparecchio interno è in grado di risolvere la grande maggioranza dei problemi di ortodonzia ed è preferito da moltissime persone rispetto al modello tradizionale.

In questo articolo raccontiamo a che punto è arrivata l’ortodonzia linguale oggi. Parliamo delle tecniche e dei materiali utilizzati, dei casi in cui l’apparecchio linguale rappresenta la soluzione migliore e di ciò che bisogna fare per raggiungere un risultato perfetto.

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Ortodonzia linguale: cosa è

La richiesta di intraprendere un trattamento ortodontico è spesso motivata dal desiderio di migliorare l’estetica del proprio sorriso. Denti storti o accavallati, diastemi e malocclusioni sono tutte problematiche che si possono e spesso si devono curare con un apparecchio. Fino a pochi anni fa non c’erano molte alternative: l’unico metodo disponibile era l’apparecchio fisso “esterno”, con gli attacchi installati sulla superficie esterna del dente. Per quanto efficace, questo tipo di trattamento compromette l’estetica del sorriso durante tutta la sua durata e per questo si sono cercate delle soluzioni alternative. E’ così che è nata l’ortodonzia linguale, ovvero la possibilità di installare l’apparecchio denti interno, sulla superficie che dà verso la lingua.

Oggi esistono diverse tipologie di apparecchio interno, tra cui:

  • Apparecchio linguale in oro: il più moderno e comodo sul mercato. Gli attacchi in oro sono ampiamente modellabili e di conseguenza comodi per il paziente.
  • Apparecchio interno autolegante: non richiede un elastico per unire ogni pezzo all’arco di metallo. Consente un trattamento più rapido e meno doloroso.
  • Apparecchio linguale classico: altrettanto efficace, ma meno comodo rispetto a quello in oro data la dimensione maggiore degli attacchi.

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Apparecchio linguale: per chi è adatto

Per decidere se un trattamento di ortodonzia linguale è adatto a te, confrontati sempre con il tuo dentista. Possiamo però indicare tre gruppi di persone che, solitamente, sono più interessate a questa soluzione e che ne traggono più beneficio.

  • Adolescenti che devono correggere una malocclusione, ma non vogliono indossare l’apparecchio classico. Il periodo tra le scuole medie e superiori è importante per la formazione della personalità e della dimensione sociale dei ragazzi. Per questo è spesso percepita come importante la cura della propria estetica e, di conseguenza, l’apparecchio linguale risulta più congruo a questi bisogni.
  • Adulti impegnati da punto di vista relazionale o sociale. Quando un adulto è particolarmente esposto socialmente, che sia per la propria professione o per il proprio status, è naturale che desidera evitare di indossare apparecchi evidenti.
  • Persone attente all’estetica in generale: gli apparecchi interni sono consigliati in generale a chi si prende cura in maniera minuziosa della propria estetica e ha bisogno di un trattamento ortodontico invisibile.

 

Ortodonzia linguale senza attacchi e con attacchi

L’ortodonzia linguale può essere praticata con attacchi o senza attacchi.

  • Gli apparecchi con attacchi sono i più diffusi e sono composti da piastrine metalliche incollate sui denti e legate l’una all’altra da un unico filo.
  • L’ortodonzia linguale senza attacchi prevede apparecchi composti solamente dal filo. Sono tendenzialmente più comodi e meno invasivi, ma allo stesso tempo sono più difficili da gestire. Il dentista che decide di procedere con l’ortodonzia linguale senza attacchi deve essere molto abile nel regolare il trattamento di seduta in seduta. Con questo apparecchio infatti sono necessari più incontri tra dentista e paziente proprio per aggiustare e guidare i movimenti della dentatura.

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Apparecchio linguale: vantaggi

Riassumiamo qui tutte le caratteristiche e i vantaggi dell’apparecchio fisso linguale rispetto ad altri trattamenti ortodontici:

  • Risulta invisibile per chi sta di fronte al paziente. L’apparecchio è infatti installato sulla superficie interna dei denti.
  • Risolve quasi tutti i problemi di ortodonzia: gli apparecchi linguali risolvono casi di malocclusione, affollamento dentale, overjet, morso incrociato e tanti altri.
  • Esistono modelli con e senza attacchi: ognuno con le proprie caratteristiche, sarà il dentista stesso a orientarti su quello più adatto a te.
  • Trattamento veloce ed efficace: il tempo necessario varia in base alla complessità del singolo caso, ma l’ortodonzia linguale è il metodo più veloce ed efficace disponibile.
  • Lo smalto dei denti non viene danneggiato: per ottenere un risultato perfetto è fondamentale la collaborazione del paziente nella pulizia dentale quotidiana.
  • Possibilità di eseguire lo sbiancamento dei denti durante il trattamento ortodontico.
  • Nessun rischio di lesioni in caso di colpi alla bocca o cadute.

Leggi anche l’articolo: Pulpotomia denti decidui: cosa è e perchè effettuarla

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Pulpotomia denti decidui: cosa è e perchè effettuarla

Quando un bambino ha mal di denti potrebbe avere i denti da latte cariati. La pulpotomia è un’operazione che risolve la carie evitando l’estrazione del dente deciduo. Si tratta quindi di un intervento di odontoiatria conservativa.

I denti da latte, esattamente come quelli permanenti, sono soggetti alle carie. Le ragioni di una loro insorgenza possono essere molte, ma nei bambini si tratta solitamente di cause legate all’alimentazione. Cibi acidi come bevande gassate o semplici succhi di frutta, attaccano lo smalto fino ad innescare la sua erosione. Il sintomo principe della carie è il mal di denti. Soprattutto allo stadio iniziale si tratta di un dolore breve ma intenso che compare quando si mangia qualcosa di dolce, caldo o freddo. Appena il bambino segnala questo tipo di fastidio è opportuno recarsi dal dentista per un controllo.

Ci sono diversi modi di trattare la carie di un dente da latte e la loro adozione varia proprio in base alla gravità dell’infezione. Nel percepito comune, se un dente da latte è cariato va estratto immediatamente, ma questo è un pensiero totalmente errato: l’estrazione è l’ultima soluzione da applicare in quanto crea nell’arcata del bambino uno spazio vuoto che genererà squilibri importanti nella formazione della dentatura permanente.

In questo articolo approfondiamo una delle tecniche più utilizzate per trattare i casi di carie nei bambini: la pulpotomia denti decidui.

 

Pulpotomia denti decidui: cosa è

La pulpotomia dei denti da latte è una tecnica che permette l’eliminazione di una carie profonda tramite la rimozione della polpa camerale infetta. Facciamo un passo indietro. Il dente è composto da smalto, dentina e polpa. Quest’ultima contiene il nervo, i vasi sanguigni e le cellule in grado di creare la dentina. La polpa è dunque lo strato più interno del dente ed è quello che viene intaccato dalla carie quando si iniziano a provare i primi fastidi.

La polpa si divide infine in camerale e radicolare. Quella camerale (o superficiale) è situata nella corona del dente, mentre quella radicolare è nelle radici. La pulpotomia dei denti decidui punta a rimuovere solo la polpa camerale, preservando quella radicolare. La pulpotomia denti da latte per i bambini è considerata una devitalizzazione parziale del dente: l’infezione da carie viene trattata rimuovendo la polpa infetta senza però andare oltre ed evitando di estrarre il dente.

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Pulpotomia denti da latte: a cosa serve

La pulpotomia dei denti decidui nei bambini serve a trattare l’infezione da carie. I bambini, così come gli adulti, sono soggetti all’erosione dello smalto e della dentina da parte di tutte le sostanze acide contenute negli alimenti. La nostra saliva e l’uso del dentifricio neutralizzano queste minacce quotidianamente, ma ogni tanto non basta.

In questi casi gli strati del dente iniziano a “bucarsi” dando origine alla carie. La carie è un’infezione della polpa dentaria che procede dall’alto verso il basso. Il suo è un processo lento che si sviluppa nel tempo. Trattare una carie agli inizi del suo sviluppo, permette di ricorrere nei bambini alla pulpotomia invece che alla devitalizzazione completa o peggio, all’estrazione del dente infetto.

La pulpotomia per bambini è una tecnica del dentista pediatra che serve a rimuovere la polpa infetta, risolvendo l’infezione e preservando il dente. E’ preferita rispetto ad altri metodi nel trattare le carie dei denti decidui proprio per il suo basso impatto sull’intera arcata e sulla formazione dei denti permanenti.

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Pulpotomia bambini: quando e perché effettuarla

Come per tutte le tecniche mediche, esistono delle condizioni in cui possono essere effettuate fino a essere incoraggiate e condizioni in cui sono sconsigliate. Lo stesso vale per la pulpotomia dei denti da latte.

L’operazione è consigliata quando:

  • Si è in presenza di una carie profonda che ha appena intaccato la polpa di un dente deciduo.
  • Il dente in questione non si muove significativamente e non è possibile ancora intravedere quello permanente.
  • Il dente non è perforato o frantumato in maniera eccessiva.
  • Le radici del dente non sono riassorbite.
  • Il dente è ancora vitale e risponde quindi agli stimoli di caldo e freddo.

La pulpotomia non è consigliata quando:

  • La carie è già molto profonda e il dente non è più sensibile agli stimoli esterni.
  • Il dente si muove molto e si può già intravedere quello permanente sotto di lui.
  • Il dente ha particolari condizioni fisiologiche che non permettono di poter mettere in atto la pulpotomia: tra questi, perforazioni, radici assorbite, frantumazioni e traumi.
  • In caso di ascesso.

La pulpotomia dei denti decidui si distingue dalla pulpectomia: in caso di carie più profonde si opta per quest’altra tecnica che prevede la rimozione sia della polpa camerale, che di quella radicolare, procedendo quindi a una devitalizzazione completa.

Pulpotomia e pulpectomia sono generalmente preferite all’estrazione del dente da latte perché il ruolo di questi elementi dentari è quello di preservare lo spazio per i futuri denti permanenti, resistendo così alle forze in atto nel cavo orale.

Leggi anche l’articolo: Asimmetria mandibolare: cos’è, rimedi

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Asimmetria mandibolare: cos’è, rimedi

Diversi studi riportano che circa una persona su tre è affetta da asimmetria mandibolare. Si tratta di ricerche che prendono in considerazione popolazioni diverse con tratti somatici altrettanto vari. Questa varietà del campione è composta grazie ai database di ricerca medica che assicurano la validità dei risultati.

La maggior parte delle asimmetrie mandibolari diventano malocclusioni, ovvero chiusure errate delle arcate, mettendo così a repentaglio la salute della mandibola e della sua articolazione. In questo caso le statistiche parlano di circa il 70% di asimmetrie che sfociano in una malocclusione.

Oltre a essere considerate dei fattori di rischio, le asimmetrie mandibolari sono un problema anche a livello estetico. Spesso infatti sbilanciano le proporzioni del viso in termini di dimensioni, forma e posizione delle strutture scheletriche creando un disagio considerevole al paziente, soprattutto quando si trova in contesti sociali.

In questo articolo esploriamo a fondo le asimmetrie indagando le loro cause, le diverse tipologie e i rimedi ideali per trattarle. Prima di iniziare ricordiamo però che l’uomo non è un animale perfettamente simmetrico: una leggera differenza tra i due emivolti è del tutto normale ed è anzi un tratto caratterizzante della morfologia di ogni persona. Ci si deve rivolgere al dentista solo nel caso in cui la differenza sia particolarmente evidente o abbia subito un cambiamento repentino nel giro di qualche mese.

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Asimmetria mandibolare: cos’è

L’asimmetria mandibolare avviene quando le linee mediane o le arcate si discostano dalle posizioni ideali per ragioni dentarie o scheletriche. Nello specifico, l’asimmetria viene calcolata in base alla distanza tra i 3 punti centrali: Pogonion, Gnathion e Menton. Se lo scarto è inferiore ai 2 mm l’asimmetria è lieve, fino ai 4 mm è moderata per poi tramutare in grave oltre i 4 mm.

Chi è affetto da asimmetria mandibolare sperimenta una mancanza di armonia e simmetria tra i lati del viso. Questo fatto comporta dei disturbi temporo mandibolari nel lungo periodo.

Le cause di una mandibola asimmetrica possono essere principalmente tre:

  • Familiarità: trasmissione genetica e tratti comuni in famiglia possono trasferire l’asimmetria di generazione in generazione.
  • Crescita: uno sviluppo impari della struttura facciale produce in tarda età una mandibola asimmetrica.
  • Traumi e infezioni: qualsiasi trauma facciale, frattura o infezione delle aree dell’articolazione temporomandibolare può portare a un’asimmetria facciale e mandibolare.

Nella maggior parte dei casi un’asimmetria mandibolare sfocia in un caso di malocclusione. Le malocclusioni possono presentarsi su tre piani: verticale, trasversale e anteroposteriore.

Chi ha una malocclusione verticale può avere un morso aperto (non riesce a chiudere i denti) o un morso eccessivo (l’arcata superiore copre più di un terzo dei denti inferiori).

Nel caso di malocclusioni sul piano trasversale si ha o il morso incrociato (quando porzioni dell’arcata superiore sono all’interno di quella inferiore) o il morso a forbice (le cuspidi dei denti non entrano a contatto).

Infine, per le malocclusioni anteroposteriori abbiamo la retrognazia (quando l’arco superiore è più avanzato di quello inferiore) o il prognatismo (quando l’arcata inferiore è davanti a quella superiore).

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Asimmetria mandibolare – rimedi

La cosa più auspicabile per il trattamento dell’asimmetria mandibolare è agire in tenera età. Fino agli 11/12 anni il bambino è ancora nel pieno del suo sviluppo osseo e l’ortodontista è in grado di guidarne la crescita.

Si consiglia di rivolgersi al dentista fin da subito, soprattutto nei casi di asimmetrie mandibolari genetiche o che si manifestano all’inizio della crescita. In questi casi la soluzione è l’installazione di apparecchi fissi o mobili che correggono la forma della mandibola e ne bilanciano lo sviluppo.

Quando si parla di adulti la soluzione è più lunga e complessa. Una volta che le ossa hanno terminato la loro crescita è difficile intervenire se non con un intervento chirurgico. Naturalmente si opta per questa soluzione soprattutto nei casi più gravi, mentre per le sintomatologie lievi si preferisce applicare piccole correzioni tramite l’ortodonzia utilizzando bite e allineatori invisibili. In questi casi l’obiettivo è lavorare di fino cercando di ripristinare il prima possibile un sorriso simmetrico.

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Asimmetria mandibolare – intervento chirurgico

L’intervento chirurgico per trattare l’asimmetria mandibolare può essere di due tipologie: monomascellare o bimascellare. Nel primo caso il chirurgo agisce solo su una delle ossa mandibolari o mascellari, mentre nel secondo su entrambe. Per l’asimmetria mandibolare l’ intervento è invasivo sia che sia monomascellare o bimascellare, dunque il periodo postoperatorio sarà di media-lunga durata.

L’asimmetria mandibolare e la relativa malocclusione non sono però da considerarsi completamente curate semplicemente con la chirurgia. Una volta che le ossa sono state riportate al loro stato ideale e simmetrico, bisogna infatti lavorare sulla dentatura in modo tale che questo cambiamento non vada perduto.

All’intervento si abbinano sempre dei bite e degli allineatori che correggono la posizione dei denti e supportano il nuovo assetto di mandibola e mascella. Dentro la nostra bocca vivono costantemente numerose forze che si contrastano e si oppongono tra loro: è compito del dentista e dell’ortodontista mantenere queste forze in equilibrio per assicurare al paziente una vita serena e un sorriso perfetto.

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Corticotomia ortodontica: tecnica, efficacia, risultati

Negli ultimi anni un numero crescente di adulti chiede di eseguire degli interventi di ortodonzia. Si tratta spesso di persone che da piccole non sono riuscite a frequentare il dentista o a cui durante la crescita la dentatura è peggiorata. Il problema di cominciare un percorso di ortodonzia con soggetti maggiori di 22 anni sono i tempi della terapia. In un adulto infatti i denti non sono così mobili come in un bambino: crescendo si perde in parte la loro motilità perché si stabilizzano sempre più fermamente in una posizione specifica rispetto all’osso.

Il fattore crescita allunga quindi inevitabilmente i tempi della terapia e spesso questo fatto si scontra con la volontà del paziente, che proprio perché adulto vorrebbe risolvere la propria condizione il più velocemente possibile. Esiste una tecnica volta proprio ad aumentare la velocità di trattamenti ortodontici negli adulti: la corticotomia dentale.

La corticotomia ortodontica prevede un’incisione ossea che induca uno stato di osteopenia transitoria focale, ovvero una riduzione temporanea della massa ossea. L’incisione può essere più o meno invasiva in base alla gravità del caso trattato e nella maggior parte dei casi assicura una riduzione del 60% dei tempi della terapia.

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Corticotomia ortodontica: tecnica

Le origini della tecnica della corticotomia dentale risalgono all’inizio del 900. In questi 120 anni sono stati fatti diversi passi avanti, soprattutto in fatto di tecniche e strumenti a disposizione. Oggi la corticotomia viene fatta seguendo due tecniche fondamentali, una generalmente più invasiva e l’altra meno.

La prima, quella più diffusa, consiste nell’incidere con una fresa chirurgica la corticale del tessuto osseo alveolare eseguendo due tagli verticali e uno orizzontale. Esiste una variante a questa tecnica che prevede l’esecuzione di incisioni puntiformi invece che lineari. L’intervento avviene sotto anestesia locale.

La seconda prevede l’utilizzo di un manipolo piezoelettrico e un’incisione meno invasiva detta piezocisione. Si tratta sempre di tagli lineari verticali eseguiti in maniera automatica dalla macchina. Per far sì che la piezocisione funzioni, viene fatta una scansione 3D delle arcate e viene creata una guida per il manipolo per aumentarne la precisione.

Entrambe le tecniche sono valide e riportano buoni risultati nel diminuire la durata della terapia ortodontica in pazienti adulti. Nel prossimo paragrafo vedremo quali sono i casi in cui sono più efficaci e quando invece è preferibile non utilizzarle.

 

Corticotomia dentale: in quali casi va utilizzata

Sono diversi i casi clinici in cui la corticotomia ortodontica è stata utilizzata e ha dato dei buoni risultati. Ecco di seguito i più frequenti.

  • Affollamento dentario anteriore dato da denti sovrannumerari. Differenti autori dimostrano l’efficacia della corticotomia nel trattamento dell’affollamento dentario in pazienti adulti. In questo caso si può optare per incisioni poco invasive per ottenere il risultato desiderato entro circa 17 settimane contro le 49 solitamente necessarie.
  • Promuovere l’eruzione in arcata di elementi inclusi. La corticotomia può essere utilizzata anche per il recupero di elementi inclusi accelerando il loro riposizionamento in arcata. Solitamente si tratta di canini inclusi nel palato.
  • Accelerare la distalizzazione dei canini dopo l’avulsione dei primi molari. In questo caso la corticotomia ortodontica porta la durata del trattamento a circa 12 giorni.
  • Promuovere le espansioni ortodontiche. La rapida espansione di tipo ortopedico comporta cambiamenti morfo-strutturali notevoli che richiedono un grande sforzo di adattamento ai tessuti. La corticotomia punta a facilitare questo processo rendendo più facili i movimenti.
  • Intrusione molare e correzione dell’open bite. In questi casi si riesce a risolvere il quadro clinico in un tempo all’incirca di 6 settimane.
  • Altri casi. La corticotomia ortodontica può essere utilizzata anche in altri casi. In generale, qualsiasi operazione ortodontica che implica uno spostamento della posizione dei denti in un adulto può beneficiare della corticotomia.

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Corticotomia ortodontica: risultati e controindicazioni

Esistono delle eccezioni, dei casi in cui la corticotomia dentale non è consigliata. Nello specifico, se il paziente ha una malattia parodontale attiva, una recessione gengivale o un’infezione orale è meglio non inficiare ulteriormente i tessuti con delle incisioni.

Anche una protratta terapia a base di corticosteroidi, FANS o inibitori delle prostaglandine rappresenta una controindicazione a questa terapia.

In tutti gli altri casi la corticotomia ortodontica non solo si può fare, ma è anche consigliata per accelerare i tempi del trattamento negli adulti. Portare un apparecchio per diversi mesi oggi può rappresentare un disagio dal punto di vista estetico ma anche psicologico.

Molti pazienti preferiscono optare per una via più breve, anche se più invasiva, per risolvere la propria situazione. La corticotomia dentale è la soluzione: una terapia con pochissimi effetti collaterali o complicanze che è capace di accelerare di gran lunga i tempi dell’ortodonzia.

In media, grazie a questa tecnica si riesce a raggiungere il risultato desiderato risparmiando circa i due terzi del tempo che normalmente si impiegherebbe.

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Irrigazione canalare: cosa è e a cosa serve

L’irrigazione canalare è diventata negli anni una pratica sempre più importante e valorizzata dai dentisti. Lo scopo dell’irrigazione canalare è eliminare il tessuto vitale o necrotico, i microrganismi, virus e batteri dall’interno del sistema canalare del dente.

Per anni le “fasi principali” delle terapie endodontiche sono state accesso, sagomatura e otturazione. L’irrigazione non veniva neppure considerata ed era relegata ad essere una semplice conseguenza dell’introduzione nei canali di uno strumento riempito di sostanze disinfettanti. Oggi è sempre più chiaro che il successo delle otturazioni e di altre operazioni endodontiche dipenda in gran parte da come vengono irrigati i canali del dente.

Il cambio di paradigma consiste nel vedere la sagomatura come propedeutica all’irrigazione e l’otturazione come la fase in cui si preserva lo stato dei canali irrigati sigillandoli lungo le tre dimensioni.

Esistono diverse sostanze che possono essere usate per l’irrigazione e ognuna ha delle specifiche tecniche e di applicazione che la rendono preferibile in determinate condizioni. La ricerca negli ultimi anni ha lavorato a lungo per permettere ai dentisti di avere le sostanze, ma anche gli strumenti più adatti per fare un’irrigazione canalare al meglio.

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Irrigazione in endodonzia: definizione

L’irrigazione canalare in endodonzia è la pratica per cui il medico usa una sostanza disinfettante a più riprese per detergere meccanicamente e chimicamente il sistema dei canali radicolari.

L’obiettivo dell’irrigazione è l’eliminazione della parte infetta dei canali che può essere composta da diversi elementi:

  • Virus e batteri
  • Detriti generati dall’azione meccanica degli strumenti
  • Tessuto vitale e necrotico
  • Altri microrganismi e i loro prodotti di degradazione.

Sono tre le condizioni che ostacolano la detersione dei canali radicolari: in primis, la natura polimicrobica dei batteri e la loro organizzazione in biofilm. Quando i batteri si organizzano in comunità co-aggregate formano una matrice che fa da barriera meccanica nei confronti delle soluzioni antibatteriche.

Anche lo smear layer che si crea in presenza dei detriti prodotti dagli strumenti meccanici e la complessa anatomia dei canali stessi rendono difficile l’assorbimento dell’irrigante e dunque la disinfezione canalare.

Proprio per queste difficoltà diventa fondamentale detergere accuratamente i canali radicolari prima di una qualsiasi otturazione. Una detersione approssimativa lascia spazio agli elementi infetti di sopravvivere e prosperare all’interno del dente creando nel tempo complicanze che comportano il fallimento dell’otturazione.

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Disinfezione canalare: best practices

Ecco di seguito un protocollo di disinfezione canalare da seguire per assicurarsi di raggiungere un risultato di detersione concreto.

  1. Prima di introdurre qualsiasi strumento nella camera pulpare, lavare con ipoclorito di sodio al 5,25%. Asciugare gli eccessi e applicare gel di EDTA che lubrifica e agevola il passaggio della strumentazione.
  2. Dopo l’uso di ogni strumento, irrigare abbondantemente sempre con ipoclorito di sodio.
  3. Al termine della sagomatura asciugare e procedere a un lavaggio con EDTA 17% liquido per 5 minuti.
  4. Asciugare e fare abbondanti lavaggi finali prima di procedere all’otturazione. Usare ipoclorito di sodio rinnovandolo frequentemente e in profondità.

Durante tutto il processo, bisogna fare attenzione a segnali clinici che potrebbero indicare come necessario un maggior tempo di disinfezione canale. Per migliorare la digestione di residui organici eventualmente presenti è buona prassi praticare una tecnica di riscaldamento intracanalare. Al termine del trattamento disidratare con un lavaggio di alcool assoluto e asciugare con coni di carta.

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Irrigazione canalare: tipologie di irriganti

Da quando l’irrigazione canalare in endodonzia ha assunto particolare importanza, la ricerca ha investito tempo e risorse nell’indagare diverse sostanze irriganti per trovare le combinazioni migliori. Ecco dunque una lista e un breve approfondimento sugli irriganti più utilizzati oggi.

Ipoclorito di sodio: indispensabile per le sue caratteristiche antimicrobiche e per la sua capacità di dissolvere tessuti organici che lo distingue dalle altre sostanze. La sua concentrazione ottimale è al 5,25% e l’aumento di temperatura ha l’effetto di potenziare la sua azione solvente. Gli svantaggi dell’ipoclorito di sodio sono il fatto che da solo non riesce a raggiungere le zone più profonde del sistema canalare e la sua incapacità di rimuovere lo smear layer.

EDTA: un buon irrigante, spesso utilizzato in sinergia con l’ipoclorito di sodio per detergere perfettamente le pareti dentinali, anche nelle regioni più difficili da raggiungere. Bisogna impiegarlo a concentrazioni comprese tra il 15% e il 17%. Neppure l’EDTA rimuove completamente lo smear layer. Quando viene utilizzato occorre evitare tempi di azione superiori ai 10 minuti.

Clorexidina: poco efficace sui virus, ma consigliata per le sue proprietà antibatteriche. La sua azione continua nel tempo e viene utilizzata in soluzioni con concentrazioni che vanno dallo 0,1% al 2%. Purtroppo non riesce a dissolvere il tessuto pulpare.

Acido citrico: è consigliato se usato in associazione all’ipoclorito di sodio. L’acido citrico è molto efficace nella rimozione dello smear layer e la sua concentrazione varia dal 6% al 50%. Nonostante si usi in associazione all’ipoclorito di sodio, le due sostanze vanno comunque applicate separatamente durante l’irrigazione canalare.

Ogni irrigante ha dunque delle caratteristiche specifiche e la parola chiave per sceglierli bene è sinergia. L’utilizzo di due o più sostanze in combinazione aiuta a ottenere una detersione accurata e completa dei canali radicolari.

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Sedazione cosciente in odontoiatria: come funziona e per chi è indicata

La sedazione cosciente è una tecnica anestesiologica che permette al paziente di tenere sotto controllo l’ansia e la paura del dentista.  E’ molto meno invasiva delle anestesie che siamo abituati a conoscere e si somministra tramite inalazione. Il paziente indossa una mascherina da cui respira la soluzione di protossido d’azoto e ossigeno.

L’effetto arriva subito, dopo pochi minuti si percepisce una sensazione di benessere generale e tutte le tensioni sembrano sciolte. A differenza dell’anestesia totale, con la sedazione cosciente il paziente rimane sveglio e riesce a percepire correttamente tutto ciò che avviene attorno a sé. L’effetto è rapido sia nella comparsa che nello smaltimento di questa “anestesia”: quando si smette di inalare il protossido d’azoto con l’ossigeno, l’effetto svanisce nel giro di poco tempo.

Di effetti collaterali la sedazione cosciente non ne ha. In alcuni ragazzi può generare uno stato di euforia o al contrario di sonnolenza, ma nulla di più. L’unica accortezza che l’odontoiatra deve tenere presente è che la terapia fatica a funzionare in due casi:

  • Con bambini al di sotto dei 4 anni;
  • Con persone raffreddate, col naso tappato o altre malattie respiratorie. In questo caso si tratta di una difficoltà meccanica di base che impedisce di ricevere la terapia.

La sedazione cosciente, se usata correttamente, dà l’opportunità di accompagnare il paziente durante il trattamento, facilitando la sua collaborazione e aiutandolo a raggiungere il risultato che si è prefissato.

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Sedazione cosciente in odontoiatria

In primis prima di procedere con la sedazione cosciente il dentista effettua l’analisi della storia clinica della persona che ha davanti: un controllo è fondamentale perchè non basta che la persona si dichiari o manifesti comportamenti odontofobici. In questo modo il professionista può vedere se il paziente ha comorbidità oppure, nel caso delle donne, se si trovano in stato interessante. Questa tecnica è altamente sconsigliata sia nel primo, che nel terzo trimestre di gravidanza: la sedazione potrebbe indurre un parto prematuro.

La soluzione della sedazione cosciente rappresenta una tecnica innovativa in odontoiatria è si può dire che ci troviamo di fronte a una cosiddetta terza via per la cura dei pazienti. Mentre nella prima si tratta l’ansia delle persone semplicemente parlando con loro e nella seconda si interviene con un’anestesia totale, grazie alla sedazione cosciente è possibile intraprendere una via di mezzo, inducendo una sensazione di benessere generale e preservando la normale percezione vigile delle cose. La sedazione vigile è dunque una grande opportunità per il dentista, anche se alcuni addetti ai lavori non sempre la mettono in pratica, pure quando sarebbe più indicata.

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Sedazione cosciente per i bambini

La sedazione vigile viene impiegata soprattutto per bambini e adolescenti. In generale, i ragazzi sono i pazienti che più spesso provano paura e ansia quando devono andare dal dentista. Spesso, però, questo fenomeno non è dovuto tanto a una loro innata percezione del medico, quanto all’educazione che ricevono dai propri genitori e da chi sta loro intorno.

Il bambino non conosce il dentista finché non deve iniziare ad andarci. Non sapendo nulla, non può farsi a priori un’idea negativa di questa figura, perché non ha dei pareri a cui riferirsi. Ed è qui che i genitori devono fare attenzione: quando introducono il ragazzo al dentista devono assicurarsi di farlo nel migliore dei modi, con delicatezza e positività.

Una buona educazione permette al bambino di essere sereno quando si siede sul lettino e lascia che un professionista si prenda cura dei suoi denti. Questo è utile anche a lungo termine: se il ragazzo è spaventato sarà restio a farsi curare anche in età adulta anche quando ne avrà bisogno; se invece il primo contatto è positivo, allora è probabile che continuerà a farsi visitare e la sua salute dentale e orale sarà sempre curata nel migliore dei modi.

Nel caso che ormai sia “troppo tardi” la sedazione cosciente è un buon modo per migliorare la percezione che il bambino ha del dentista. Innanzitutto, grazie ad essa si farà trattare senza capricci e paure e poi, uscito dalla sala, avrà associato la visita ad un’esperienza positiva e sarà più facile che la volta successiva viva il tutto con più serenità.

 

Sedazione vigile per adulti

La sedazione vigile in ambito odontoiatrico può anche essere eseguita sugli adulti. Basti pensare che addirittura il 10-15% della popolazione evita del tutto di andare dal dentista perché ha paura, quindi non sono solo i ragazzi ad essere i più “terrorizzati”.

L’idea è mettere sempre la salute prima di tutto: se si riconosce di avere ansia quando si pensa di dover andare da un dentista o qualsiasi altro medico, occorre parlarne con il diretto interessato: in questo modo sarà in grado di aiutarti. Non c’è cosa peggiore che rinunciare a farsi curare e a vivere una vita sana per una semplice paura.

La sedazione cosciente per adulti è uno strumento nelle mani del dentista per aiutare le persone a superare lo stallo e magari anche a far capire che in fondo non c’è nulla di cui preoccuparsi.

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Sbiancamento dentale: come funziona, tipologie, controindicazioni

Lo sbiancamento dentale è uno dei trattamenti più richiesti al dentista. Tutti desiderano avere un sorriso bianco e luminoso e i modi per esaudire questa richiesta sono più di uno. In questo articolo spieghiamo il funzionamento di un trattamento sbiancante per denti, presentando le diverse vie che possono essere percorse per avere dei denti più bianchi di qualche tono.

Discuteremo anche delle controindicazioni al trattamento e di come gestire al meglio queste situazioni qualora si presentassero. Lo sbiancamento dei denti è l’intervento di base dell’estetica dentale, ovvero quell’approccio alla disciplina che studia le tecniche per curare i difetti dell’aspetto del singolo dente, come la discromia dentale, e delle arcate in generale.

 

Sbiancamento dei denti: come funziona

Prima di spiegare come funziona un trattamento di sbiancamento dentale, bisogna capire da che cosa è originato il colore che noi percepiamo. La tinta del dente infatti non è data solo dallo smalto come spesso si crede. Lo smalto è uno strato protettivo trasparente che incapsula la dentina, la vera sostanza responsabile della colorazione del dente.

Il colore del dente è dunque primariamente dato da ciò che sta al suo interno, ma è anche vero che lo smalto gioca un ruolo importante: se siamo abituati a consumare alimenti che creano macchie sui denti come the, caffè, pomodoro e curry è facile che lo smalto col tempo si macchi e perda la sua trasparenza.

Un trattamento professionale di sbiancamento dentale fa uso di una sostanza, il perossido di idrogeno (o perossido di carbammide), e di una luce a LED. Il perossido di idrogeno viene applicato sotto forma di gel su tutta la superficie dei denti del paziente. Questo prodotto permette l’apertura dei pori dello smalto e libera ioni in grado di attivare il processo sbiancante all’interno del dente. La luce a LED ha il compito di accelerare questo processo.

Quanto riesce a sbiancare un trattamento di questo tipo? Una seduta professionale di sbiancamento dentale può arrivare a migliorare la tinta del dente di 7 tonalità. In ogni caso l’efficacia dello sbiancamento dipende non solo dal trattamento in sé, ma anche in grande parte dal paziente e dalle caratteristiche intrinseche dei suoi denti.

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Sbiancamento denti: tipologie

Il trattamento di sbiancamento dei denti può essere fatto in diversi modi. Due sono i principali: lo sbiancamento dentale LED professionale e lo sbiancamento dentale domiciliare con l’ausilio di mascherine.

Sbiancamento dentale LED

Lo sbiancamento dentale con luce a LED è quello che avviene all’interno di uno studio dentistico. Le arcate vengono cosparse accuratamente di gel con perossido di idrogeno e la luce LED accelera la scissione della sostanza in ossigeno. Rispetto al trattamento casalingo viene utilizzata una miscela con percentuale maggiore di perossido di idrogeno, dunque si hanno risultati visibili fin da subito e tempistiche molto più brevi. Una sessione di sbiancamento dentale con luce a LED dura infatti circa 30 minuti.

Sbiancamento dentale a casa

I pazienti hanno anche la possibilità di optare per lo sbiancamento dei denti “a domicilio”. In questo caso si procede creando prima di tutto un calco della dentatura e le rispettive mascherine. Vengono poi consegnati al paziente la sostanza con perossido di idrogeno e una siringa per poterla spalmare sulla mascherina. Il paziente deve mantenere la mascherina applicata ogni notte per almeno 2 settimane. Il trattamento dura così a lungo perché la percentuale di perossido qui utilizzata è molto minore. Lo sbiancamento dentale a casa perde di efficacia se il paziente non rispetta la terapia o se assume troppo spesso alimenti pigmentati. Anche in questo caso è meglio se il paziente intraprende questo percorso con il dentista esperto come quelli dello Studio Dentistico Dottor Gola.

Esistono altri modi per sbiancare i denti. Ad esempio, lo sbiancamento veloce. Questo tipo di trattamento dalla durata di 10 minuti viene effettuato subito dopo la seduta di igiene orale professionale. Ha un’efficacia minore, ma riesce comunque a migliorare il colore dei denti di 2 o 3 toni.

L’utilizzo di dentifrici sbiancanti per un’operazione di sbiancamento è sconsigliato. I microgranuli contenuti in questi prodotti possono essere abrasivi e l’efficacia della loro applicazione è bassa e limitata nel tempo.

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Trattamento sbiancante denti: controindicazioni

Esistono delle controindicazioni all’eseguire trattamenti di sbiancamento per i nostri denti? Sì.

  • Prima di procedere allo sbiancamento bisogna assicurarsi che non siano presenti carie o altre fragilità nel cavo orale. In tal caso, si devono assolutamente sistemare queste situazioni prima di fare qualsiasi altra cosa.
  • Le gengive possono irritarsi. Il perossido di idrogeno o di carbammide possono irritare l’apparato gengivale se vengono a contatto con esso. L’irritazione è solitamente passeggera.
  • I denti aumentano la loro sensibilità. Agendo sui pori dello smalto e della dentina, il perossido di idrogeno aumenta la sensibilità del dente nel periodo immediatamente successivo allo sbiancamento. Durante questo lasso di tempo bisogna stare attenti a ciò che si mangia per non sforzare i denti o vanificare il trattamento.
  • Non bisogna esagerare. Soprattutto nel caso dei trattamenti a domicilio, è fondamentale rispettare le indicazioni dell’odontoiatra. Avere i denti bianchi può diventare una vera e propria ossessione e può arrivare a danneggiare il vostro sorriso.

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