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Alitosi tutto ciò che c’è da sapere

Soffrire di alitosi è una condizione frequente che può creare imbarazzo nella persona che ne soffre. Intervenire sull’alitosi e sulle sue cause è pertanto fondamentale per consentire al paziente di vivere le sue relazioni interpersonali serenamente, senza alcun disagio. Secondo una stima, il 25% degli individui soffre di questo disturbo nel corso della vita, mentre un 6% ne sarebbe addirittura affetto in maniera permanente.

Va però detto che non sempre l’alito cattivo è causato da particolari condizioni dei denti o della bocca. Tuttavia, l’odontoiatra gioca un ruolo fondamentale nel mantenimento di una corretta igiene orale e quindi nella riduzione della probabilità di sviluppare alitosi. Rimedi, cause e approfondimenti sulla natura di questa condizione, saranno oggetto del nostro articolo di oggi.

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Alitosi: cos’è

Al contrario di quanto si può pensare, l’alitosi – o bromopnea – non provoca soltanto il cattivo odore dell’alito, ma anche di cavità nasale, cavo orale e saliva. Proprio la secrezione salivare gioca un ruolo fondamentale nell’insorgenza di episodi di alitosi, dal momento che essa determina la detersione della bocca e il benessere dei tessuti. In caso di scarsa salivazione, l’ossigenazione della bocca si riduce e aumenta il rischio di permanenza di residui alimentari e detriti cellulari, tutti fattori che aumentano sensibilmente il rischio di alito cattivo.

Quando si parla di questa condizione, bisogna tuttavia usare molta cautela. Esistono infatti due tipi di alitosi:

  • Alitosi transitoria: si tratta del 90% degli episodi di bromopnea, definiti in questo modo per via della loro natura passeggera. Un esempio classico è l’alito pesante del mattino, in quanto la ridotta produzione di saliva durante la notte favorisce i fenomeni di putrefazione e il conseguente aumento di composti volatili solforati nella bocca. Analogamente, condizioni non patologiche che provocano secchezza della mucosa orale, o l’assunzione di determinati alimenti, possono favorire casi di alitosi transitoria. In genere basta lavare i denti per idratare il cavo orale e recuperare la naturale freschezza del respiro.
  • Alitosi permanente: comprende quella minima parte di casi, circa il 10%, dove non è sufficiente l’igiene orale per eliminare la condizione di alito cattivo. In questi frangenti l’alitosi è spesso segno di una condizione patologica a carico del cavo orale o di una malattia sistemica che comprende l’alitosi tra i suoi sintomi.

Sulla base di queste considerazioni, non si può considerare l’alitosi di per sé una patologia. Essa è piuttosto una condizione che si sviluppa come conseguenza di altri fattori eterogenei, tra i quali solo alcuni di essi sono direttamente correlati all’ambito odontoiatrico. Tuttavia, una buona igiene orale domestica può ridurre notevolmente i casi di alitosi transitoria. L’intervento professionale del dentista è invece richiesto per trattare i casi di alitosi permanente.

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Alitosi cause e rimedi

Nei casi di alitosi, cause non odontoiatriche possono essere:

  • Errate abitudini alimentari o consumo di particolari cibi (su tutti aglio e cipolla);
  • Malattie sistemiche dell’apparato digerente (l’incidenza di queste patologie è tuttavia minima);
  • Tabagismo;
  • Assunzione di farmaci;
  • Patologie che causano una produzione eccessiva di muco (influenza stagionale, bronchite…).

I fattori appena elencati hanno una responsabilità variabile sull’insorgenza di alitosi. Pur non essendo causata da infezioni orali o altre patologie odontoiatriche, l’alitosi può però essere una spia di problemi che possono ripercuotersi sul cavo orale. Ne è un esempio tipico il reflusso gastroesofageo. Questa patologia oltre a causare alitosi, rende difatti più acida la saliva esponendo i denti a erosione dello smalto e carie.

Anche una dieta squilibrata, ricca di zuccheri, alimenti salati e/o alcool riduce la saliva, provocando alitosi, esponendo al contempo bocca e denti a infezioni batteriche che se trascurate potrebbero richiedere l’intervento del dentista. Allo stesso modo il fumo può favorire carie dentali e alcuni farmaci provocano la xerostomia, anche conosciuta come secchezza delle fauci. Esiste dunque una stretta connessione tra salute del cavo orale e alitosi. Cause odontoiatriche di questa condizione possono invece essere:

  • Parodontite;
  • Gengivite;
  • Carie;
  • Infezioni batteriche;
  • Accumulo eccessivo di placca e tartaro;
  • Lesioni trascurate provocate da interventi di chirurgia dentale;
  • Cattiva igiene di protesi ortodontiche.

In questi casi di alitosi, le cause odontoiatriche favoriscono la proliferazione di batteri anaerobici che producono gas a base di zolfo, caratterizzati per l’appunto da un odore sgradevole. Nei casi in cui l’alitosi permanente è dunque provocata da gengiviti, parodontiti o altre malattie di origine batterica, sarà necessario trattare la specifica patologia per eliminare anche l’alito cattivo.

Se l’alitosi è correlata alle protesi, l’ortodontista può valutarne lo stato e correggerne l’aderenza a denti o gengive, oppure aiutare il paziente a prendersene cura in maniera più corretta. Nei casi di xerostomia invece, se il farmaco responsabile fa parte di una cura dentistica, l’odontoiatra può effettuare una modifica alla terapia.

Tra i rimedi per l’alitosi è infine indispensabile citare la pulizia dentale professionale. Sottoponendosi a regolari sedute di detartrasi è possibile rimuovere il tartaro in eccesso, mantenendo pulito il cavo orale e diminuendo l’azione nociva dei batteri responsabili dell’alitosi e di altre patologie odontoiatriche.

Leggi anche l’articolo: Ipersensibilità dentinale: diagnosi e trattamento

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Ipersensibilità dentinale: diagnosi e trattamento

Tra i disturbi orali più comunemente diffusi è sicuramente da annoverare l’ipersensibilità dentinale. Questa condizione, che interessa circa un paziente odontoiatrico su tre, ha una maggiore incidenza sulla donne e insorge in un range di età molto ampio, compreso tra i 20 e i 50 anni.

È assolutamente consigliato di non sottovalutare la sensibilità dentinale. Se i denti cominciano a essere troppo suscettibili al freddo o al caldo è pertanto buona norma rivolgersi al proprio dentista di fiducia, senza trascurare il fastidio provato. Nell’articolo di oggi analizzeremo nel dettaglio le cause dell’ipersensibilità dentinale e i trattamenti migliori per ristabilire il benessere del cavo orale.

Ipersensibilità dentinale: cos’è

La letteratura medica definisce l’ipersensibilità dentinale un dolore intermittente, acuto e di breve durata la cui causa è da attribuire all’esposizione della dentina a stimoli di natura tattile, termica, chimica, osmotico o evaporativa. La peculiarità di tale condizione è che il fenomeno doloroso non scaturisce direttamente da una patologia o da un difetto strutturale del dente. La sensibilità dentinale è piuttosto una reazione fisiologica propria del dente, segno della sua vitalità, ma allo stesso tempo un meccanismo di difesa da uno stimolo esterno non per forza nocivo.

Uno stato di ipersensibilità dentale è quindi conseguenza di un assottigliamento dello smalto posto a protezione della dentina e della successiva retrazione gengivale. Secondo la teoria eziologica più accreditata, quella idrodinamica, tale condizione comporta l’apertura dei tubuli dentali che compongono la stessa dentina. Questi piccoli canali contengono del fluido che viene soggetto a rapidi movimenti causati dagli stimoli esterni, andando successivamente a sollecitare il nervo pulpare e le terminazioni delle fibre nervose. Su queste sono presenti dei meccanocettori, che restituiscono all’organismo la sensazione di dolore. Una volta terminata la stimolazione, anche il fastidio correlato alla sensibilità dentinale tende a scomparire rapidamente.

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 Ipersensibilità dentale: cause

Le cause di ipersensibilità dentale sono da ricercare in quei fattori che possono condurre alla perdita di spessore dello smalto. Per comodità, è possibile classificarli in quattro macrocategorie:

  • Fattori patologici: in questo caso l’esposizione dei tubuli è favorita dagli effetti negativi di pulpiti, carie o malattie parodontali;
  • Fattori abrasivi: tra le cause di abrasione del dente si ricorda l’uso eccessivo di dentifrici abrasivi o sbiancanti, o uno spazzolamento errato, specie se compiuto con spazzolini di bassa qualità;
  • Fattori erosivi: l’erosione dello smalto è correlata principalmente ad errate abitudini alimentari, quali ad esempio il consumo di bevande zuccherate o cibi acidi;
  • Fattori parafunzionali: è il caso dell’usura legata al digrignamento dei denti tipico del bruxismo.

Condizioni di sensibilità dentinale possono essere inoltre causate da traumi, quali fratture o scheggiature del dente, ma anche da altri trattamenti odontoiatrici. Spesso il paziente può ad esempio soffrire di ipersensibilità dentale dopo sedute di sbiancamento, ablazione, scaling oppure successivamente a una recente otturazione.

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Sensibilità dentinale: problema passeggero o patologia cronica?

Per quanto la sensibilità dentinale sia un disturbo frequente e generalmente transitorio, è bene non trascurarla, in modo da evitarne la cronicizzazione. L’accortezza migliore è allora quella di segnalare prontamente il fastidio al dentista, in modo da ritrovarne le cause e stabilire insieme come procedere.

Ignorare l’ipersensibilità dentale conduce peraltro a un peggioramento generale delle proprie abitudini in materia di igiene orale, esponendo bocca e denti ad altri rischi. Molti pazienti tendono ad esempio a cambiare modo di spazzolare i denti, peggiorando magari la propria pulizia; altri dichiarano di provare più fastidio durante le sedute dal dentista, finendo per trasformare l’esperienza in poltrona in qualcosa di sgradevole.

Non sono nemmeno da sottovalutare le conseguenze sul piano della nutrizione, dal momento che un paziente affetto da sensibilità dentinale cronica potrebbe ad esempio evitare sistematicamente determinati cibi, perdendo il piacere scaturito dal mangiare o favorendo cattive abitudini alimentari.

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Ipersensibilità dentinale: trattamento

Cosa fare in caso di ipersensibilità dentinale? La sua natura multifattoriale rende impossibile una risposta unitaria. Il trattamento sarà infatti stabilito dopo l’identificazione degli elementi che hanno favorito l’assottigliamento dello smalto. La fase diagnostica sarà quindi cruciale, in quanto permetterà all’odontoiatra di escludere patologie più rilevanti e delineare la terapia. Bisogna perciò iniziare con l’eliminazione dei fattori di rischio attraverso le tecniche più adatte alla situazione individuale del paziente.

Successivamente il dentista dovrà favorire la desensibilizzazione  attraverso l’applicazione, sia domiciliare che professionale, di prodotti quali gel, dentifrici, collutori vernici o sieri a base di:

  • Nitrato di potassio;
  • Acetato di stronzio;
  • Sodio fluoruro;
  • Cloruro;
  • Sali di stagno;
  • Arginina;
  • Carbonato di calcio;
  • Nano-idrossiapatite.

Queste sostanze favoriscono inoltre la produzione di dentina terziaria e la nuova occlusione dei tubuli dentinali. La prevenzione rimane ovviamente la principale alleata contro l’ipersensibilità dentinale. Sottoporsi a frequenti visite dentistiche, mantenere una dieta equilibrata e curare l’igiene orale quotidiana sono tra le abitudini che diminuiscono maggiormente l’incidenza della patologia.

Leggi anche l’articolo: Respirazione orale: cos’è e come trattarla

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Respirazione orale: cos’è e come trattarla

Abituare il bambino a un rapporto sereno con il dentista è fondamentale per correggere tempestivamente cattive abitudini come ad esempio la respirazione orale. Questa frequente condizione può causare alterazioni nello sviluppo dentale e osseo durante la crescita.

Genitori e dentista hanno dunque un ruolo di rilievo nel rilevare la respirazione orale nel bambino. In questo articolo analizzeremo i dettagli di questa patologia e prenderemo in esame i trattamenti ortodontici più utilizzati per correggerla.

Respirazione orale: cos’è

La respirazione orale si verifica quando l’atto respiratorio avviene attraverso la bocca, piuttosto che dal naso. Si tratta di un vizio molto diffuso tra i bambini, ma che non deve essere sottovalutato, dal momento che il cavo orale non ha le stesse capacità filtranti della mucosa nasale. All’interno del naso si trova l’epitelio cilindrico ciliato, che trattiene gli elementi nocivi presenti nell’aria. La respirazione orale nel bambino favorisce quindi la sua esposizione ad agenti patogeni. È inoltre in relazione con altre problematiche ortodontiche. Nella sua eziologia concorrono la conformazione delle vie aeree, quella delle strutture cranio-facciali e altre abitudini errate.

Per accertare l’eventuale respirazione orale del bambino è pertanto necessario fare caso ad alcuni aspetti:

  • Cambiamenti posturali, come ad esempio una rotazione della mandibola, l’abbassamento della lingua nel pavimento della bocca;
  • La presenza di alcuni tratti caratteristici nel volto, che vengono comunemente classificati come “Facies adenoidea”. Tra questi si ricordano occhiaie, raggruppamenti venosi sotto gli occhi, viso allungato, narici strette e il “Gummy smile”, ovvero un sorriso che lascia particolarmente esposta una porzione di gengive;
  • Alterazioni del cavo orale, tra cui la presenza di un palato stretto a forma di V, condizioni di morso incrociato o aperto che generano malposizioni dentali o scheletriche, tonsille ingrossate, malocclusioni dentali.

A seconda dei fattori scatenanti, ci si può trovare davanti a due tipologie di respirazione orale:

  • Obbligata: quando è causata da deviazioni del setto nasale, polipi nasali, ipertrofia adenoidea o altre malformazioni/ostruzioni che rendono fisicamente impossibile o difficoltoso il passaggio dell’aria dal naso;
  • Facoltativa: se la respirazione non è legata a impedimenti oggettivi, ma a condizioni transitorie, come ad esempio una rinite allergica.

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Respirazione orale conseguenze

Alla luce dell’eterogeneità delle cause che conducono alla respirazione orale nel bambino, anche le conseguenze sono molto varie. Innanzitutto va precisato che alterazioni del cavo orale, se già presenti, possono essere accentuate dal protrarsi di un’errata respirazione. Condizioni di malocclusione ad esempio, sono destinate a peggiorare ulteriormente se alla respirazione orale si accompagnano altre abitudini viziate, come ad esempio la suzione del pollice o un uso prolungato del ciuccio. Lo stesso discorso vale per gli aspetti fisionomici del volto che risultano alterati dalla respirazione orale.

Il mancato filtraggio dell’aria da parte della mucosa naso-faringea ha importanti conseguenze dal punto di vista immunitario. La maggiore presenza di corpuscolato e germi espone infatti tonsille, adenoidi, faringe e naso ad un più alto rischio di infezioni.

L’elevata quantità di aria che passa dalla bocca provoca anche secchezza delle fauci. Tra le condizioni correlate alla respirazione orale questa è una delle più rischiose, in quanto riduce la  produzione di saliva e, di conseguenza, peggiora la detersione di denti e gengive. Questo comporta un abbassamento dei meccanismi difensivi del cavo orale, che risulterà più incline allo sviluppo di altre patologie, quali ad esempio carie o gengiviti.

Infine, la respirazione orale ha conseguenze che si riflettono sul benessere generale del bambino, che soffrirà di una ridotta qualità del sonno e di frequenti episodi di stanchezza diurna. Secondo alcuni studi, la respirazione orale potrebbe inoltre essere tra le cause di ADHD, il disturbo da deficit di attenzione e iperattività.

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Respirazione orale bambino: come trattarla

Il trattamento ortodontico è un approccio molto efficace per curare la respirazione orale. Attraverso l’ortodonzia intercettiva è possibile correggere condizioni di malocclusione o palato stretto. È molto importante che diagnosi e terapia siano precoci, dal momento che i risultati sono notevolmente migliori nei bambini sotto i 12 anni.

L’ortodontista si avvale di vari strumenti e terapie per trattare la respirazione orale, tra cui:

  • Apparecchi ortodontici: una prima fase prevede l’utilizzo di un apparecchio mobile, che viene rimosso giornalmente. Successivamente si procede con un apparecchio fisso, che ruota i denti riportandoli nella loro posizione funzionale;
  • Espansore del palato: utilizzabile anche in combinazione agli apparecchi, è uno strumento che favorisce la rapida correzione della struttura ossea di palato e mascella, in modo da ristabilire una regolare funzione delle vie aeree e dunque del processo di respirazione.

Va infine specificato, che la respirazione orale è una condizione che necessita spesso di un approccio interdisciplinare. Il trattamento ortodontico può ad esempio doversi accompagnare a delle sedute di logopedia o di ortopedia, a seconda dell’importanza dei sintomi, dell’età del bambino e di altre variabili. Nel caso di respirazione orale obbligata è inoltre necessario l’apporto dell’otorino-laringoiatra, per risolvere le cause dell’ostruzione naso-faringea e ripristinare la corretta respirazione.

Leggi anche l’articolo: Recessione gengivale: come si manifesta e rimedi

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Recessione gengivale: come si manifesta e rimedi

La recessione gengivale è un disturbo comune del cavo orale la cui conseguenza principale consiste nel ritiro delle gengive. La retrazione gengivale lascia scoperta la radice dei denti, aumentando la sensibilità generale della stessa e dando l’illusione che il dente sia più lungo del normale.

Nonostante sia una condizione patologica frequente, specialmente con il progredire dell’età, è possibile diminuirne almeno in parte l’incidenza con una buona igiene orale, sia domestica che professionale. Il supporto del proprio dentista di fiducia è inoltre fondamentale per una diagnosi tempestiva e per trattare da subito le gengive che si ritirano, in modo da evitare il protrarsi della sintomatologia.

Recessione gengivale: cos’è

In parodontologia, si intende per recessione gengivale quella condizione del cavo orale caratterizzata dal progressivo ritiro delle gengive verso il margine apicale del dente. La gengiva che si ritira può farlo in maniera lenta e graduale, oppure presentare una retrazione più improvvisa e veloce. Allo stesso modo, l’estensione della recessione gengivale può essere variabile: si va dall’interessamento del singolo dente, fino ad un ritiro gengivale che interessa tutto il cavo orale.

Date le sue caratteristiche, è un disturbo che può passare facilmente sotto traccia fino a che la retrazione gengivale non diventa più importante, contribuendo a causare altre patologie più evidenti quali piorrea o infiammazioni gengivali. Il ritiro delle gengive può colpire indifferentemente tutti i denti. Si è tuttavia notata una maggiore incidenza della patologia in corrispondenza di canini e premolari. Una maggiore accortezza verso lo stato di questi denti può perciò aiutare a rilevare precocemente la recessione gengivale.

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Gengive che si ritirano: sintomi

La natura progressiva del fenomeno di retrazione gengivale comporta una sintomatologia di non facile identificazione. Si può in altri termini dire che una gengiva che si ritira è la conseguenza ultima di una serie di abitudini igieniche o alimentari scorrette, o di un disturbo cronico già in corso nella bocca del paziente. Se l’iniziale ritiro gengivale può dunque essere quasi invisibile, esistono tuttavia degli altri sintomi tipici che possono facilitarne il riconoscimento. Tra i più frequenti si ricordano:

  • Ipersensibilità dentinale rispetto a stimoli termici (cibi troppo freddi o troppo caldi, aria fredda che entra nel cavo orale…) o meccanici (spazzolamento, passaggio del filo interdentale, masticazione…);
  • Accumulo di placca specialmente se, sentendo dolore, si spazzolano i denti in maniera meno accurata;
  • Alitosi;
  • Tendenza delle gengive a sanguinare e/o gonfiarsi.

Una recessione gengivale in stadio più avanzato, o correlata a una gengivite cronica, presenta sintomi più specifici, quali:

  • Difetti estetici: denti che sembrano più lunghi o con un maggiore spazio tra loro;
  • Alterazioni cromatiche, in particolar modo un ingiallimento legato all’esposizione del cemento dentale;
  • Difficoltà masticatorie;
  • Spostamento e/o caduta dei denti.

Retrazione gengivale: cause

L’eziologia della recessione gengivale è particolarmente eterogenea, con diverse concause che insieme vanno a provocare la patologia. Molto spesso anche soggetti con ottime abitudini di igiene orale tendono a presentare un ritiro delle gengive semplicemente invecchiando. Una delle principali cause di retrazione gengivale è tuttavia da ricercarsi nell’accumulo di batteri sulla superficie dei denti e lungo la linea gengivale, che aumentano tra l’altro il rischio di carie.

Il danneggiamento, con conseguente ritiro, delle gengive può anche essere causato da un’errata igiene orale. Tra i fattori di rischio, l’utilizzo di spazzolini da denti troppo duri, una spazzolatura eccessivamente vigorosa o trattamenti di pulizia dei denti poco frequenti.  Altre cause della recessione gengivale includono il fumo, la carenza di vitamina C, malattie ereditarie o ormonali, diabete e bruxismo. Anche il reiterato utilizzo di prodotti errati può provocare il ritiro delle gengive. È il caso dei dentifrici ad azione sbiancante che, tra gli effetti collaterali, presentano un aumento della sensibilità dentinale.

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Ritiro gengivale: come curarlo

La cura della recessione gengivale dipende principalmente dalle cause e dallo stadio in cui si trova la patologia. Se il ritiro delle gengive viene notato da subito, la correzione delle proprie abitudini potrebbe essere sufficiente. Si consiglia pertanto di attuare una buona prevenzione attraverso questi piccoli accorgimenti:

  • Sospendere il consumo di cibi eccessivamente zuccherati e di tabacco;
  • Spazzolare i denti con molta delicatezza, per due volte al giorno, avvalendosi di uno spazzolino a setole morbide;
  • Utilizzare il filo interdentale per pulire meticolosamente le aree tra i denti e rimuovere residui di cibo;
  • Praticare sciacqui con collutori antibatterici a base di clorexidina.

Nei casi più gravi di ritiro gengivale potrebbe rendersi necessario un trattamento di pulizia approfondita dei denti, così da rimuovere gli accumuli di placca e tartaro. Se la recessione gengivale è in una fase molto avanzata, il dentista può inoltre decidere di procedere con un intervento chirurgico di odontoiatria e implantologia per ricostruire le gengive e coprire le radici dentali esposte.

Leggi anche l’articolo: Allineatori dentali: cosa sono e come funzionano

 

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Allineatori dentali: cosa sono e come funzionano

Gli allineatori dentali trasparenti sono una soluzione di ortodonzia invisibile particolarmente apprezzata, in special modo tra i pazienti in età adulta. Questo modello di allineatori per denti unisce notevoli vantaggi funzionali ad una resa estetica più discreta rispetto agli apparecchi tradizionali.

In questo articolo scopriremo tutti i dettagli degli allineatori invisibili per denti, le tipologie esistenti e i vantaggi apportati dal loro utilizzo terapeutico.

Allineatori dentali – cosa sono

L’ortodonzia invisibile si avvale degli allineatori di denti per spostare gradualmente la dentatura del paziente, con l’obiettivo di riportarla in una posizione funzionale. Una volta applicati sull’arcata, questi dispositivi esercitano una progressiva pressione sui denti, causandone il riallineamento desiderato.

Gli allineatori dentali invisibili svolgono quindi la medesima azione dei tradizionali apparecchi metallici, preservando però la naturalezza del sorriso del paziente. Queste caratteristiche li rendono una soluzione perfetta per gli adulti, generalmente meno predisposti a indossare l’apparecchio per via del fastidio che può causare in determinati contesti.

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Allineatore denti – tipologie

L’ortodonzia invisibile ha a sua disposizione una vasta gamma di soluzioni per accontentare le diverse esigenze dei pazienti: gli allineatori dentali trasparenti mobili sono sicuramente una delle più richieste e funzionali. Questi dispositivi sono delle mascherine termostampate in plastica trasparente, realizzate direttamente sulla fisionomia del cavo orale del paziente.

Essendo rimovibili offrono una maggiore comodità, in quanto possono essere tolti per mangiare, bere o lavarsi i denti. Sono inoltre altamente resistenti alle rotture e vanno cambiati ogni due settimane circa.

Gli allineatori dentali trasparenti mobili non sono tuttavia gli unici dispositivi utilizzati nell’ambito dell’ortodonzia invisibile. Esistono altre tipologie di allineatori dentali invisibili fissi, che mantengono comunque un aspetto più discreto rispetto all’apparecchio in metallo. Tra queste varietà di allineatori per denti ricordiamo:

  • Apparecchio fisso con brackets estetici: questi allineatori dentali sono strutturalmente simili agli apparecchi tradizionali. Tuttavia i brackets, ovvero gli attacchi, sono realizzati in zaffiroceramica. Questi materiali si confondono con il naturale colore dello smalto dentale e rendono l’allineatore poco visibile;
  • Apparecchio linguale: questo trattamento sfrutta degli attacchi in metallo che però vengono posizionati sulla parte interna del dente. In questo modo l’allineatore dentale risulta invisibile nonostante il materiale. È la soluzione di ortodonzia invisibile più versatile e può anche essere ibridata. Si può ad esempio applicare l’apparecchio linguale all’interno dell’arcata superiore e un allineatore per denti con attacchi in ceramica all’esterno dell’arcata inferiore.

Gli allineatori dentali invisibili fissi non sono da considerare inferiori alle loro controparti mobili, dal momento che garantiscono comunque elevati livelli di discrezione. Sarà il dentista a valutare la tipologia più adatta, sulla base della situazione individuale del paziente.

Allineatori denti – come funziona la terapia

Una terapia con allineatori dentali invisibili è utile non solo per garantire al paziente un sorriso più naturale possibile, ma anche per migliorare lo stato di salute generale del cavo orale. L’obiettivo dell’ortodonzia invisibile è difatti quello di favorire la stabilità occlusale, andando a risolvere problematiche come ad esempio:

    • Affollamento dentale;
    • Disallineamento dentale;
    • Inclusioni dentali;
  • Malposizionamenti causati da estrazioni precoci;
  • Problematiche di natura ortopedica o scheletrica durante la fase dello sviluppo.

Sfruttando l’allineatore di denti si possono inoltre prevenire disturbi posturali, articolari e malattie parodontali. La terapia con gli allineatori dentali invisibili funziona in maniera analoga a quella tradizionale. Tutto parte da un processo diagnostico volto a delineare il piano terapeutico e i risultati attesi. Generalmente una terapia di ortodonzia invisibile dura dai 6 ai 36 mesi, ma si tratta di una stima variabile da paziente a paziente.

In genere, i primi risultati del trattamento con gli allineatori dentali invisibili si iniziano a vedere dopo il terzo mese di trattamento. È in ogni caso importantissimo rispettare le visite periodiche per il follow-up, nel caso degli allineatori fissi, o per la sostituzione degli allineatori dentali trasparenti mobili. È bene precisare che una terapia con allineatore di denti potrebbe non essere sufficiente a correggere completamente la situazione di partenza. Esistono inoltre delle particolari condizioni che rendono sconsigliata l’applicazione degli allineatori dentali, tra cui:

  • Malattie parodontali in corso;
  • Carie o lesioni non curate;
  • Presenza di ponti o impianti.

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Allineatori dentali invisibili – vantaggi

I vantaggi degli allineatori invisibili sono notevoli, in quanto ad una comprovata efficacia funzionale, uniscono comfort e discrezione. Essendo soluzioni scarsamente invasive, preservano l’aspetto fonetico, che invece può risultare alterato dall’apparecchio in metallo. Il paziente non sentirà inoltre alcun fastidio alle guance o alla lingua, grazie ad un’adesione ai denti pressoché totale.

Altri aspetti positivi sono di natura igienica: l’assenza di fili metallici riduce l’accumulo di placca e facilita l’igiene orale. Nel caso delle mascherine rimovibili questi vantaggi sono ulteriormente accentuati, in quanto i pazienti possono rimuovere gli allineatori dentali, prima dei pasti e in totale autonomia, per non rovinarli. Il dentista può inoltre monitorare costantemente l’evoluzione del cavo orale ad ogni cambio di allineatore di denti trasparente, grazie a uno scanner intraorale. Questo gli consente anche di prevedere i prossimi risultati e rendere ancora più efficace la terapia.

Leggi anche l’articolo: Fluorosi dentale: cos’è, sintomi e rimedi

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Fluorosi dentale: cos’è, sintomi e rimedi

La fluorosi dentale è una patologia orale causata da un disequilibrio nella naturale concentrazione di fluoro. Questo è un minerale fondamentale per il benessere della bocca, molto diffuso in tutti i tessuti del corpo umano e responsabile della solidità di ossa e denti.

Nell’articolo di oggi analizzeremo nel dettaglio la natura e le cause della fluorosi, trattamento e rimedi specifici per ottenere una guarigione completa e un ritorno dei denti al loro aspetto originario.

Fluorosi dentale: cos’è

Con il termine fluorosi dentale ci si riferisce a un’alterazione della superficie dello smalto dentale causata da un eccesso di fluoro. Rientra nella categoria delle discromie intrinseche, inestetismi che colpiscono il dente nella struttura più profonda e sono causati da traumi, malattie congenite o dall’assunzione prolungata di farmaci.

La fluorosi dentaria interessa spesso i bambini. I più piccoli non sono infatti ancora capaci di gestire correttamente la propria igiene orale e finiscono per ingerire il fluoro tramite il dentifricio. In questo modo l’organismo assorbe una quantità eccessiva del suddetto minerale, favorendo l’insorgere della fluorosi. Le macchie possono influenzare negativamente l’autostima del paziente, creando disagi nelle sue interazioni sociali.

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Fluorosi dentaria: sintomi

La comparsa di inestetismi sulla superficie dentale è il principale sintomo della fluorosi: denti con macchie bianche color gesso, gialle o marroni sono i suoi segnali tipici. Le macchie sono causate dall’ipomineralizzazione dello smalto dentale. Bisogna fare attenzione a queste manifestazioni: se trascurata, la fluorosi può provocare carie o addirittura fosse e solchi sulla regione superficiale del dente.

In base ai sintomi presenti, è possibile identificare quattro forme di fluorosi dentale:

  • Leggera: lo smalto presenta minuscole alterazioni della traslucidità, ovvero macchie o piccoli puntini;
  • Lieve: sullo smalto dei denti sono presenti macchie bianche che interessano massimo il 50% della superficie dentale;
  • Moderata: l’inestetismo interessa tutta la superficie dello smalto, che assume una colorazione opaca. Diffusa la presenza di macchie marroni;
  • Grave: l’intera superficie dentale presenta una colorazione marrone e anche la corona può rimanere coinvolta. Il disturbo è accompagnato spesso da sensibilità dentale, carie e altre alterazioni della superficie dentale.

Fluorosi denti: cause

Le cause dell’eccesso di fluoro possono essere diverse. Questo minerale viene assunto attraverso acqua potabile, dentifrici e collutori fluorati, integratori di fluoro o alcuni specifici trattamenti odontoiatrici. La prima accortezza da prendere è dunque quella di non eccedere nell’utilizzo di prodotti a base di fluoro. Nel caso dei bambini è opportuno assisterli nell’igiene orale e utilizzare il solo spazzolino o, al massimo, quantità di dentifricio minime.

L’eccesso di fluoro può anche essere causato da integratori o farmaci. Sempre nel caso dei bambini, era in passato diffusa la prescrizione di gocce o pastiglie contenenti fluoro per la prevenzione della carie, ma oggi questa soluzione è sempre meno praticata. È bene precisare che i comuni prodotti di igiene orale contribuiscono in maniera minima all’assunzione di fluoro.

Anche l’alimentazione va curata. Alcuni alimenti, come ad esempio il salmone o le sardine in lattina, contengono quantità di fluoro più elevate. Scarsa invece la concentrazione nella carne, nella frutta e nelle verdure. Attenzione anche all’acqua potabile, che deve rispettare la soglia di sicurezza stabilita dall’OMS di massimo 1,5 mg di fluoro per litro.

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Fluorosi: trattamento

Esistono diversi trattamenti disponibili per la fluorosi dentale che possono aiutare a migliorare l’aspetto dei denti, così da restituire al paziente il piacere di un sorriso privo di inestetismi. In caso di una forma lieve di fluorosi denti, un trattamento come lo sbiancamento può essere una buona soluzione, ma va precisato che potrebbe peggiorare temporaneamente la gravità della patologia. Valido anche l’impiego di una crema remineralizzante a base di fosfato di calcio che, insieme alla tecnica di microabrasione, permette di ridurre lo scolorimento dentale.

Una tecnica di estetica odontoiatrica efficace per le fluorosi di media entità è il bonding dentale, ovvero l’applicazione di un composto resinoso sullo smalto dei denti. In questo modo i denti interessati riacquisiscono la colorazione bianca. È una pratica economicamente sostenibile, indolore e di facile applicazione, molto adatta dunque ai più piccoli. Non ha effetti collaterali. Solo di rado può essere riscontrata una lieve sensibilità dentale nelle 72 ore successive al trattamento.

Se a causa della fluorosi alcune parti di dente sono state danneggiate, o addirittura andate perse, il trattamento protesico diviene necessario. In questo caso si può ricorrere all’applicazione di faccette dentali per i denti anteriori o corone in ceramica se ad essere colpiti sono i molari o i premolari.

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Disbiosi orale: perché il microbioma deve essere sempre equilibrato

Microbiota e microbioma orale sono due elementi di vitale importanza per la salute della bocca. All’interno del cavo orale convivono infatti numerosi microorganismi, la cui azione combinata contribuisce a mantenere uno stato funzionale al suo benessere.

Il delicato equilibrio tra i gruppi di microorganismi che compongono il microbiota del cavo orale è però soggetto a possibili alterazioni. Quando questo accade si parla di disbiosi orale, una condizione che necessita di essere attenzionata dal dentista, in quanto potenzialmente causa di diversi problemi a carico di denti e bocca.

Disbiosi orale – cos’è

È bene precisare che microbioma e microbiota orale non sono esattamente due sinonimi. In breve si possono dare le seguenti definizioni:

  • Per microbiota del cavo orale si intende la popolazione complessiva di microorganismi che abitano la bocca di una persona. Questi sono di varie tipologie: batteri, virus, protozoi e funghi. Normalmente stanno tra loro in una condizione di equilibrio detta “Eubiosi” e garantiscono il regolare funzionamento del sistema immunitario così da prevenire patologie orali.
  • Il microbioma orale è invece un concetto più complesso che in un certo senso comprende il microbiota. Esso infatti include non solo l’intero patrimonio genetico dei microorganismi che lo compongono, ma anche tutte le loro relazioni e il modo in cui queste si ripercuotono sul cavo orale.

Al netto di questa differenza, bisogna tenere a mente che l’azione benefica dei vari ceppi di microorganismi deriva dal loro stato di equilibrio. La disbiosi orale è invece una condizione disfunzionale che insorge nel momento in cui uno dei ceppi prevale sugli altri, dando vita a un microbiota patogeno. Esistono diversi campanelli d’allarme che possono segnalare una disbiosi orale, tra cui:

  • Alitosi
  • Aumento della placca dentale
  • Ipersensibilità dei denti
  • Carie
  • Ulcere del cavo orale
  • Malattie gengivali
  • Candida
  • Infezioni respiratorie
  • Tonsillite

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Microbioma orale – perché è importante

L’equilibrio del microbioma orale è importante per lo stato di salute generale di un individuo. Il funzionamento corretto del corpo umano è infatti conseguenza di un rapporto armonico tra i vari apparati che lo compongono. Un microbioma orale ben equilibrato contribuisce dunque a diversi processi biologici, alcuni dei quali non sono di esclusiva pertinenza del cavo orale. Tra le sue funzioni ricordiamo le seguenti:

  • Contribuisce alla regolazione di processi metabolici come ad esempio la pressione arteriosa;
  • Garantisce la regolarità della digestione, favorendo la scomposizione del cibo tramite l’azione della saliva;
  • Concorre al processo di remineralizzazione dei denti, fondamentale per mantenere intatta la loro struttura;
  • Favorisce l’eliminazione di tossine dalla bocca e regola il passaggio dell’ossigeno verso gengive e tessuti molli.

Il microbioma del cavo orale rappresenta inoltre la prima linea di difesa dell’organismo contro l’azione di batteri patogeni che dall’esterno possono introdursi nell’organismo e causare infezioni delle vie respiratorie.

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Microbioma del cavo orale – come equilibrarlo

Il microbiota orale è composto da circa 700 specie di batteri che convivono all’interno della bocca con svariate specie di funghi, virus e protozoi. Come si può immaginare, l’equilibrata convivenza tra una così complessa moltitudine di microorganismi non è una questione semplice. Il loro stato di eubiosi è soggetto a continue potenziali alterazioni e per questo è necessario intervenire a supporto, eliminando cattive abitudini alimentari o di igiene orale.

Un errore molto comune in merito è ad esempio quello di utilizzare collutori o dentifrici industriali. I loro componenti chimici, quali coloranti e dolcificanti artificiali, fluoruro di sodio e sodio laurel solfato, sono potenzialmente dannosi per il microbioma del cavo orale in quanto indeboliscono i batteri “buoni”. Meglio utilizzare prodotti naturali, magari a base di menta piperita, per una buona azione rinfrescante ma rispettosa dell’equilibrio del microbiota orale.

La stessa attenzione va riposta nell’alimentazione. Vanno evitati per quanto possibile cibi processati, farinacei e alimenti zuccherini, poichè alterano più facilmente la composizione del microbiota orale. Sono invece da preferire cibi ricchi di fibre prebiotiche come ad esempio i piccoli frutti, i vegetali a foglia verde o gli alimenti fermentati.

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Microbiota cavo orale – alcuni consigli

Il consiglio più importante in merito alla salute del microbioma orale è quello di non sottovalutare mai i segnali di una potenziale disbiosi. Soprattutto malattie e infezioni gengivali vanno subito attenzionate, dato che sono spesso causate proprio da un’alterazione dell’equilibrio del microbiota del cavo orale.

Inoltre è bene tenere sotto osservazione patologie apparentemente non legate alla bocca, come ad esempio il diabete di tipo 2. L’ingestione della saliva comporta l’introduzione di eventuali batteri patogeni all’interno dell’apparato digerente, provocando un’alterazione di un altro importante microbioma: quello intestinale. È inoltre opportuno supportare i processi che equilibrano il microbiota orale assumendo integratori alimentari. Tra quelli più utili si ricordano:

  • Probiotici: Utili per problemi alla flora intestinale, migliorano anche lo stato di salute della bocca producendo un biofilm protettivo che riduce le infiammazioni della bocca;
  • Vitamine e minerali: I diversi gruppi vitaminici contribuiscono tra le altre cose alla salute del microbioma orale;
  • Omega 3: Dotati di forte azione antibatterica, prevengono gli squilibri patogeni.

Leggi anche l’articolo: Protesi dentali: cosa sono, tipologie, quando ricorrervi

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Protesi dentali: cosa sono, tipologie, quando ricorrervi

Le protesi dentali sono dispositivi medici fondamentali nel trattamento odontoiatrico dei pazienti affetti da edentulia, ovvero la mancanza totale o parziale di denti. L’installazione di una protesi odontoiatrica sopperisce dunque all’assenza della dentatura, restituendo alla bocca un aspetto il più naturale possibile.

Nel corso dell’articolo prenderemo in analisi le varie tipologie di protesi dentarie, i vantaggi e i possibili inconvenienti derivanti dal loro utilizzo. Ad oggi l’odontoiatria prevede l’utilizzo di diversi materiali e tecniche per realizzare una protesi dentale che si adatti perfettamente alle caratteristiche individuali del paziente.

Protesi dentali: cosa sono

Per protesi dentali si intende più nello specifico una serie di dispositivi artificiali che sostituiscono i denti naturali del paziente. Carie, traumi e patologie parodontali possono comportare la perdita o l’assenza di parte della dentatura. Nei casi più gravi, questa può addirittura essere totale.

L’installazione di una protesi assume allora un ruolo cruciale per il trattamento di queste situazioni, che creano in primis un disagio di natura estetica al paziente. Il ripristino del sorriso non è però l’unico obiettivo perseguito dal dentista: la mancanza di uno o più denti può infatti avere conseguenze anche importanti su tutte le funzioni del cavo orale, dalla respirazione alla masticazione, compromettendo lo stato di salute generale del paziente.

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Protesi dentarie: tipologie

Esistono due macrocategorie di protesi dentarie:

  • Protesi dentarie fisse
  • Protesi dentarie mobili

La protesi dentale fissa prevede un’installazione definitiva su denti naturali o su impianti (intervento di implantologia). Il paziente non potrà dunque rimuoverla senza l’intervento del dentista. È generalmente in metallo-ceramica, ma esistono varianti prive di metallo. Esempi di protesi odontoiatriche fisse sono:

  • Corone dentali: Si possono installare su un dente esistente rovinato esteticamente o a livello funzionale, oppure su un precedente restauro coronale deteriorato. Se manca il dente naturale si ricorre all’implantologia.
  • Ponti dentali: Vengono installati poggiandosi sui denti vicini. Oggi si preferisce ricorrere all’implantologia, inserendo delle radici artificiali nell’osso e lasciando quindi intatti i denti adiacenti.
  • Maryland Bridge: È una particolare tipologia di ponte dentale a cui si fa ricorso in caso di perdita dei denti frontali. Si fissa con cementi adesivi e due piccole ali laterali alle pareti posteriori dei due denti vicini, senza che questi vengano limati o alterati.
  • Intarsi: Questo tipo di protesi si utilizza nel caso di carie molto estese su molari e premolari. Il dentista rimuove il tessuto compromesso dalla carie e lo sostituisce con un intarsio che ricrea l’anatomia originale del dente.
  • Faccette dentali: Sono una soluzione molto utilizzata per migliorare il sorriso dei pazienti. Le faccette sono delle sottilissime lamine in ceramica che si applicano sul dente donando un effetto sbiancante e riallineante. Sono inoltre utili a chiudere gli spazi tra i denti (diastema).

La protesi dentaria mobile è comunemente chiamata dentiera. È composta da due parti: una rosa in resina acrilica che simula l’estetica delle gengive e una bianca composta dai denti prostetici in resina acrilica, composito o ceramica. L’applicazione della dentiera può essere provvisoria, in attesa di un’altra soluzione definitiva. Esistono anche protesi mobili parziali, utilizzate per la sostituzione di parti di dentatura qualora non si voglia o non si possa ricorrere a un intervento di implantologia.

Sono disponibili anche protesi dentarie che combinano elementi fissi e mobili, ma con l’affermazione dell’implantologia vengono sempre meno utilizzate.

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Protesi dentaria: pro e contro

Il ricorso alle protesi odontoiatriche è fondamentale per ristabilire le corrette funzioni del cavo orale compromesse dalla mancanza di denti. La vasta scelta di soluzioni permette a ogni paziente di trovare quella più adatta alle sue esigenze. Grazie al lavoro dell’odontotecnico la protesi viene realizzata proprio a partire dalla forma della bocca di ciascuna persona, garantendo il massimo comfort.

Le protesi fisse hanno il vantaggio di restituire alla dentatura un’estetica molto simile a quella originale. Non richiedono particolari operazioni di pulizia. Offrono resistenza e stabilità superiori, una migliore biocompatibilità dei materiali e un maggiore recupero della funzionalità masticatoria. Di contro sono generalmente più costose rispetto quelle mobili e necessitano di interventi di limatura dei denti.

La protesi mobili sono invece soluzioni più vantaggiose da un punto di vista economico e sicuramente meno invasive. Tuttavia, per la loro natura, risultano meno stabili delle protesi fisse, essendo suscettibili ai cambiamenti delle gengive e della parte ossea dell’arcata dentaria. Il materiale da cui sono composte viene inoltre progressivamente riassorbito e per questo è necessario il processo di ribasatura, che garantisce il riempimento della dentiera e una piena aderenza alle gengive.

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Protesi odontoiatriche: quando ricorrervi

In generale è possibile affermare che le protesi dentarie sono necessarie quando mancando uno o più denti e le naturali funzioni del cavo orale sono compromesse. Sarà il dentista a valutare il da farsi, alla luce della situazione clinica ed economica del paziente.

Ogni situazione richiede infatti interventi differenti: le faccette come abbiamo visto sono prettamente legate a una necessità estetica, mentre altri tipi di protesi possono venire scelte se non si può intervenire con l’implantologia, per complicazioni o per scelta del paziente. Il consiglio migliore rimane sempre quello di richiedere un consulto specialistico, così da essere sicuri di mettere in atto la soluzione più adatta al proprio caso.

Leggi anche l’articolo: Agenesia dentale: cos’è, cause e rimedi

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Agenesia dentale: cos’è, cause e rimedi

L’agenesia dentale si definisce come la mancanza congenita di uno o più denti all’interno della bocca di una persona. È un problema che colpisce circa il 5% della popolazione e addirittura il 10% di bambini e bambine.

Nel corso di questo articolo entreremo nel dettaglio dell’agenesia dentale: cause, tipologie e rimedi saranno approfonditi. È bene sottolineare subito che trattandosi di un disturbo presente sin dal momento dalla nascita, è fondamentale rilevarlo in tenera età, così da poter provvedere subito a un trattamento efficace. Per farlo occorre una visita di odontoiatria pediatrica.

Agenesia dentale – cos’è

L’agenesia dentale indica il mancato sviluppo di un dente da latte o l’assenza del dente permanente che dovrebbe sostituirlo. Non è da confondere con l’inclusione dentale, dove il dente è presente ma non riesce ad erompere. Nel caso dell’agenesia, i denti sono infatti del tutto assenti. La diagnosi avviene tramite ortopantomografia e chiarisce se la mancata fuoriuscita del dente è dovuta a un ritardo nello sviluppo o all’agenesia.

Esistono tre tipi di agenesie dentali:

  • Oligodontia: consiste nella mancanza di un numero di denti compreso tra uno e sei, con esclusione dei denti del giudizio (ovvero i terzi molari).
  • Ipodontia: è il caso in cui mancano più di sei denti, con esclusione dei terzi molari.
  • Anodontia: rappresenta il caso più raro e grave, ovvero la totale assenza di dentatura.

L’agenesia dentale determina conseguenze negative sia in prospettiva estetica, che funzionale. La mancanza di uno o più denti può infatti ripercuotersi su masticazione, digestione e respirazione. Inoltre aumenta il rischio che all’interno del cavo orale possano svilupparsi condizioni quali malocclusioni o affollamento dentale.

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Agenesia dentale – cause

Le cause delle agenesie dentali sono difficili da identificare con assoluta precisione. Secondo la maggior parte degli studi però sono principalmente da ricercare in fattori genetici. L’agenesia dentale ha quindi una forte componente ereditaria ed è correlata a particolari alterazioni cromosiche. Le persone affette da Sindrome di Down ad esempio hanno una maggiore possibilità di svilupparla. È stata avanzata anche una tesi di tipo evoluzionistico secondo la quale evolvendosi l’uomo avrebbe bisogno di meno denti per svolgere correttamente la funzione della masticazione.

Il fattore certo è che l’agenesia dentale colpisce l’individuo nella sua fase embrionale. La patologia è una conseguenza della disfuzione del follicolo dentale. Il suo mancato sviluppo porta infatti alla totale assenza del dente. Sono noti anche altri fattori, oltre quelli genetici, che possono concorrere alla suddetta disfunzione e quindi ad una condizione di agenesia dei denti. Ad esempio:

  • Chemioterapia;
  • Malnutrizione o altri problemi alimentari;
  • Traumi;
  • Infezioni e patologie tra cui tubercolosi, sifilide, rachitismo, rosolia e malattie del sistema neuroendocrino.

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Agenesie dentali nei bambini

Questa patologia colpisce un numero significativo di bambini e bambine. Può manifestarsi sia per la dentizione da latte, che per quella permanenti, con questi ultimi più colpiti rispetto ai primi. I denti che statisticamente sono più coinvolti sono gli incisivi laterali superiori e i secondi premolari inferiori. Per completezza, si ricorda che la dentatura da latte conta 20 denti la cui comparsa termina intorno ai 3 anni. La dentatura permanente conta invece 28 elementi che sale a 32, se si considerano i denti del giudizio.

Tenendo sempre presente che ogni corpo è caratterizzato da diversi tempi di sviluppo, è importante monitorare la condizione del cavo orale dei più piccoli. La visita odontoiatrica pediatrica è quindi fondamentale per capire se dietro la mancata fuoriuscita di un dente c’è un semplice ritardo, un dente incluso o un caso di agenesia dentale. La diagnosi tempestiva serve non solo a evitare i disagi estetici e funzionali già accennati in precedenza, ma anche la possibilità di successivi cattivi posizionamenti dentali. I denti che crescono vicini allo spazio vuoto tendono infatti ad occuparlo cercando spontamenamente il contatto con quello più vicino, alterando l’equilibrio della bocca.

Una volta rilevata un’agenesia dentale bisogna allora intervenire rapidamente per evitare questi movimenti dentali indesiderati. Ma quali sono le terapie più efficaci?

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Agenesia dentale – rimedi

L’approccio all’agenesia dentale dipende dalla specificità del singolo caso. Il tipo di intervento è infatti determinato da variabili quali:

  • Quantità e tipologia di denti mancanti.
  • Età del paziente.
  • Fisionomia della bocca e dei denti.
  • Eventuali problemi di morso associati.

Una volta terminate le valutazioni diagnostiche e identificato il tipo di agenesia dentale, i rimedi utilizzabili sono:

  • Trattamento ortodontico: Viene usato con l’obiettivo di chiudere gli spazi dentali. Comporta il ricorso ad un apparecchio fisso per un periodo di tempo limitato, che ha la funzione di riallineare i denti e faciliare la masticazione. Può sfociare nell’installazione di un impianto.
  • Intervento di implantologiaConsiste nell’inserimento di una radice artificiale che riempie il vuoto del dente mancante. È un intervento più rapido rispetto a quello ortodontico, ma richiede un’attenta valutazione dello stato delle gengive e del cavo orale. Se ad esempio si sono verificati spostamenti dentali eccessivi, potrebbe non esserci lo spazio per un impianto.

In base a quanto detto la valutazione del dentista è fondamentale. Ogni terapia è infati personalizzata e può avvalersi di una combinazione di tecniche e strumenti di ortodonzia e implantologia pe raggiungere il risultato atteso.

Leggi anche l’articolo: Clorexidina: perché è il gold standard in odontoiatria

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Clorexidina: perché è il gold standard in odontoiatria

La Clorexidina (CHX), è un disinfettante utilizzatissimo dai dentisti. Possiede potenti proprietà antisettiche che lo rendono il gold standard in odontoiatria. Viene usato per la cura e la prevenzione di determinate patologie del cavo orale, per trattamenti chirurgici e non, e per decorsi post operatori. La Clorexidina è molto importante anche per la disinfezione di protesi e impronte.

Il collutorio con Clorexidina è inoltre un prodotto fondamentale per l’igiene orale domiciliare. In questo caso è fortemente consigliato attenersi alle indicazioni del proprio dentista, così da evitare effetti collaterali derivanti da un suo utilizzo improprio. In questo articolo approfonderemo la natura di questa sostanza, i suoi modi d’uso e le sue controindicazioni.

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Clorexidina cosa è

Da un punto di vista chimico, la Clorexidina è una molecola cationica bis-biguanide sintetica composta da Carbonio, Cloro, Azoto e Idrogeno. Per natura idrofoba, nell’uso odontoiatrico la molecola si lega a composti anionici, come ad esempio il gluconato. Questo la rende moderatamente idrosolubile. Viene naturalmente inibita da alcune sostanze organiche, tra cui  sangue e pus. Associata a molecole presenti nei dentifrici, quali sodio lauril solfato e sodio monofluorofosfato, la sua attività risulta ridotta. A seconda della sua concentrazione, può avere due effetti differenti:

  • Bassa concentrazione: Tra 0,02% e 0,06%, impedisce la riproduzione dei batteri (effetto batteriostatico).
  • Alta concentrazione: Oltre 0,12% uccide i microrganismi (effetto battericida).

La Clorexidina è classificata tra i battericidi ad ampio spettro. Ha un’efficacia migliore sui batteri Gram-positivi rispetto ai Gram-negativi e non funziona sulle specie resistenti all’acido. In compenso si può utilizzare anche per curare infezioni virali e fungine, tra cui quella da Candida Albicans. Viene solitamente somministrata sotto forma di collutorio o gel.

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Clorexidina: quando è indicata

L’utilizzo della Clorexidina è particolarmente indicato nella pratica protesica. In questi casi il disinfettante scelto deve possedere un potere antibatterico, antivirale e antifungino, ovvero caratteristiche tipiche della Clorexidina. Il suo impiego è inoltre vantaggioso per il fatto che non corrode, né danneggia, plastica e gomma. La disinfezione di una protesi avviene tramite immersione in un composto di Clorexidina con concentrazione minima dello 0,2% o erogazione spray.

Il ricorso alla Clorexidina è inoltre correlato a particolari trattamenti odontoiatrici. Nella cosiddetta pratica di Full Mouth Disinfection ad esempio, il dentista segue un protocollo che prevede la combinazione di sciacqui con Clorexidina allo 0,2% e l’applicazione di gel all’1% nelle tasche gengivali. La sua azione antimicrobica è altresì fondamentale per aumentare l’effetto antibatterico di interventi meccanici quali detartrasi, root planing o scaling. Per concludere, la sostanza è un’alleata fondamentale nel trattamento di infezioni acute o malattie croniche del cavo orale.

Clorexidina: come mai è il gold standard in odontoiatria

La Clorexidina possiede dunque caratteristiche che la rendono il gold standard dei disinfettanti in ambito odontoiatrico. Quella più importante è probabilmente la sua sostantività, ovvero la capacità di permanenza all’interno del cavo orale. La sua natura cationica le permette infatti di legarsi tanto ai microorganismi, quanto alle varie superfici della bocca, ovvero:

  • Denti
  • Pellicola acquisita
  • Mucosa
  • Cavo orale

Il suo effetto a rilascio graduale è dunque duraturo: dopo un solo risciacquo con collutorio con Clorexidina , la saliva mantiene un effetto antibatterico per 5 ore. La permanenza sulle superfici orali arriva invece addirittura a 12 ore, garantendo anche un effetto antiplacca.

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Clorexidina colluttorio vs collutori generici

L’utilizzo della Clorexidina collutorio è molto frequente. Tuttavia non bisogna fare l’errore di pensarlo come una semplice alternativa ai collutori generici. Al contrario di questi ultimi infatti, il collutorio con Clorexidinia non è idoneo ad un uso quotidiano. Viene generalmente prescritto dal dentista, in caso di:

  • Trattamento di gengiviti e parodontiti.
  • Preparazione a interventi protesici e relativo decorso post-operatorio dopo l’impianto delle protesi dentali.
  • Manutenzione delle protesi.
  • Pazienti immunosoppressi o sottoposti a chemioterapia e radioterapia.
  • Terapia contro l’alitosi.

Rispetto alle controparti generiche, il collutorio con Clorexidina va usato dopo 30 minuti dallo spazzolamento dei denti. Non va inoltre diluito in acqua, perché presenta già una concentrazione ideale. A seconda di quest’ultima cambiano anche i tempi di risciacquo: si va dai 15 secondi con concentrazione allo 0,30%, ai 60 secondi con concentrazione allo 0,12%, passando per i 30 secondi consigliati se la concentrazione è allo 0,20%.

Fortemente consigliata anche l’astensione da cibo, bevande alcoliche e fumo per l’ora successiva. Infine, è opportuno abbinare un dentifricio specifico, privo di quei componenti che possono annullare l’effetto del collutorio.

Clorexidina effetti collaterali

Le controindicazioni della Clorexidina sono per lo più legate a un suo utilizzo improprio, o prolungato. Generalmente non bisogna fare ricorso a un collutorio di questo tipo per più di 20 giorni consecutivi. Esistono tuttavia dei piccoli effetti collaterali da Clorexidina, legati principalmente alla possibile comparsa di inestetismi sulla superficie dei denti e della lingua. Le macchie da Clorexidina sono però facilmente eliminabili, con un intervento di igiene orale professionale.

Altri leggeri effetti collaterali da Clorexidina possono essere un’alterazione del gusto o la persistenza di un sapore amaro in bocca. Bisogna in ogni caso stare tranquilli: questi fastidi, molto comuni dopo un trattamento, sono reversibili e tendono a sparire spontaneamente in appena qualche giorno.

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