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Sbiancamento dentale: come funziona, tipologie, controindicazioni

Lo sbiancamento dentale è uno dei trattamenti più richiesti al dentista. Tutti desiderano avere un sorriso bianco e luminoso e i modi per esaudire questa richiesta sono più di uno. In questo articolo spieghiamo il funzionamento di un trattamento sbiancante per denti, presentando le diverse vie che possono essere percorse per avere dei denti più bianchi di qualche tono.

Discuteremo anche delle controindicazioni al trattamento e di come gestire al meglio queste situazioni qualora si presentassero. Lo sbiancamento dei denti è l’intervento di base dell’estetica dentale, ovvero quell’approccio alla disciplina che studia le tecniche per curare i difetti dell’aspetto del singolo dente, come la discromia dentale, e delle arcate in generale.

 

Sbiancamento dei denti: come funziona

Prima di spiegare come funziona un trattamento di sbiancamento dentale, bisogna capire da che cosa è originato il colore che noi percepiamo. La tinta del dente infatti non è data solo dallo smalto come spesso si crede. Lo smalto è uno strato protettivo trasparente che incapsula la dentina, la vera sostanza responsabile della colorazione del dente.

Il colore del dente è dunque primariamente dato da ciò che sta al suo interno, ma è anche vero che lo smalto gioca un ruolo importante: se siamo abituati a consumare alimenti che creano macchie sui denti come the, caffè, pomodoro e curry è facile che lo smalto col tempo si macchi e perda la sua trasparenza.

Un trattamento professionale di sbiancamento dentale fa uso di una sostanza, il perossido di idrogeno (o perossido di carbammide), e di una luce a LED. Il perossido di idrogeno viene applicato sotto forma di gel su tutta la superficie dei denti del paziente. Questo prodotto permette l’apertura dei pori dello smalto e libera ioni in grado di attivare il processo sbiancante all’interno del dente. La luce a LED ha il compito di accelerare questo processo.

Quanto riesce a sbiancare un trattamento di questo tipo? Una seduta professionale di sbiancamento dentale può arrivare a migliorare la tinta del dente di 7 tonalità. In ogni caso l’efficacia dello sbiancamento dipende non solo dal trattamento in sé, ma anche in grande parte dal paziente e dalle caratteristiche intrinseche dei suoi denti.

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Sbiancamento denti: tipologie

Il trattamento di sbiancamento dei denti può essere fatto in diversi modi. Due sono i principali: lo sbiancamento dentale LED professionale e lo sbiancamento dentale domiciliare con l’ausilio di mascherine.

Sbiancamento dentale LED

Lo sbiancamento dentale con luce a LED è quello che avviene all’interno di uno studio dentistico. Le arcate vengono cosparse accuratamente di gel con perossido di idrogeno e la luce LED accelera la scissione della sostanza in ossigeno. Rispetto al trattamento casalingo viene utilizzata una miscela con percentuale maggiore di perossido di idrogeno, dunque si hanno risultati visibili fin da subito e tempistiche molto più brevi. Una sessione di sbiancamento dentale con luce a LED dura infatti circa 30 minuti.

Sbiancamento dentale a casa

I pazienti hanno anche la possibilità di optare per lo sbiancamento dei denti “a domicilio”. In questo caso si procede creando prima di tutto un calco della dentatura e le rispettive mascherine. Vengono poi consegnati al paziente la sostanza con perossido di idrogeno e una siringa per poterla spalmare sulla mascherina. Il paziente deve mantenere la mascherina applicata ogni notte per almeno 2 settimane. Il trattamento dura così a lungo perché la percentuale di perossido qui utilizzata è molto minore. Lo sbiancamento dentale a casa perde di efficacia se il paziente non rispetta la terapia o se assume troppo spesso alimenti pigmentati. Anche in questo caso è meglio se il paziente intraprende questo percorso con il dentista esperto come quelli dello Studio Dentistico Dottor Gola.

Esistono altri modi per sbiancare i denti. Ad esempio, lo sbiancamento veloce. Questo tipo di trattamento dalla durata di 10 minuti viene effettuato subito dopo la seduta di igiene orale professionale. Ha un’efficacia minore, ma riesce comunque a migliorare il colore dei denti di 2 o 3 toni.

L’utilizzo di dentifrici sbiancanti per un’operazione di sbiancamento è sconsigliato. I microgranuli contenuti in questi prodotti possono essere abrasivi e l’efficacia della loro applicazione è bassa e limitata nel tempo.

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Trattamento sbiancante denti: controindicazioni

Esistono delle controindicazioni all’eseguire trattamenti di sbiancamento per i nostri denti? Sì.

  • Prima di procedere allo sbiancamento bisogna assicurarsi che non siano presenti carie o altre fragilità nel cavo orale. In tal caso, si devono assolutamente sistemare queste situazioni prima di fare qualsiasi altra cosa.
  • Le gengive possono irritarsi. Il perossido di idrogeno o di carbammide possono irritare l’apparato gengivale se vengono a contatto con esso. L’irritazione è solitamente passeggera.
  • I denti aumentano la loro sensibilità. Agendo sui pori dello smalto e della dentina, il perossido di idrogeno aumenta la sensibilità del dente nel periodo immediatamente successivo allo sbiancamento. Durante questo lasso di tempo bisogna stare attenti a ciò che si mangia per non sforzare i denti o vanificare il trattamento.
  • Non bisogna esagerare. Soprattutto nel caso dei trattamenti a domicilio, è fondamentale rispettare le indicazioni dell’odontoiatra. Avere i denti bianchi può diventare una vera e propria ossessione e può arrivare a danneggiare il vostro sorriso.

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Odontoiatria estetica: discromia dentale e otturazioni in composito

L’odontoiatria estetica è quella branca della materia che studia metodi di cura per le patologie dentali che rispettino la bellezza del sorriso del paziente. Molte delle problematiche a livello dentale e orale hanno come conseguenza un inestetismo, un difetto estetico. Due delle più frequenti sono le discromie dentali e le carie profonde.

La discromia dentale è la presenza di una variazione di colore del dente rispetto al resto delle arcate. Può essere estrinseca o intrinseca, ovvero riguardare o la superfice del dente o la dentina stessa. Le carie sono un processo distruttivo progressivo dei tessuti duri del dente (smalto, dentina e cemento). Quando raggiungono la profondità del dente devono essere otturate dopo la rimozione del tessuto cariato per evitare che si riformino. Anche le otturazioni possono generare inestetismi sul lungo periodo, soprattutto se il materiale per otturazioni odontoiatriche di cui sono fatte è troppo poroso.

Le soluzioni che preservano l’estetica dentale per questi casi sono molteplici e si dividono su più livelli in base alla gravità della situazione. Il primo passo è sempre l’igiene orale professionale: questo trattamento non invasivo riesce a risolvere i problemi più semplici e a prevenire i danni più gravi. Una volta completata la pulizia, si opta per una soluzione ad hoc per ogni paziente: si va dall’otturazione semplice all’installazione di faccette dentali o intere capsule che proteggano ciò che resta del dente.

L’obiettivo è sempre quello di riportare la dentatura in salute e di preservare allo stesso tempo l’estetica del sorriso del paziente.

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Discromia dentale: cause e tipologie

Una discromia dentale è una qualsiasi alterazione del colore del dente su una sua porzione o su tutta la sua superfice. Un’importante premessa: il colore del dente è dato dalla combinazione cromatica dello smalto e della dentina sottostante. Il primo è prevalentemente trasparente, mentre la seconda tende al giallo. La tinta dei denti infatti non è mai di un bianco puro, ma può tendere al grigio o al giallo in base alle situazioni.

La discromie si dividono in due grandi categorie:

  • Discromie estrinseche: si tratta di discromie superficiali e facilmente removibili. Le cause sono la scarsa igiene orale che provoca la formazione eccessiva di placca e tartaro e il consumo di cibi e bevande pigmentanti. Alcuni esempi sono il caffé, il vino rosso e la liquirizia.
  • Discromie intrinseche: sono discromie che si generano nella profondità del dente. Solitamente sono causate da traumi, malattie congenite o dall’assunzione prolungata di alcuni farmaci come il fluoro.

Il colore delle macchie aiuta a comprenderne l’origine:

  • Le macchie gialle sono tipiche di chi consuma molto caffè o sigarette. In alcuni casi sono dovute all’invecchiamento naturale del dente o si tratta di segnali che preludono a una carie.
  • Le macchie marroni sono spesso causate da un impiego errato di colluttori a base di clorexidina.
  • Le macchie nere sono carie in fase avanzata e sono causate da scarsa igiene orale o dall’assunzione frequente di cibi dolci e/o acidi.

Di fronte a una discromia dentale è fondamentale agire d’anticipo. Innanzitutto è bene riconoscere le cattive abitudini che ne favoriscono la generazione e cessarle il prima possibile. Se lo smalto o la dentina sono già stati compromessi è bene recarsi da un professionista per una pulizia profonda e accurata che cerchi di ripristinare tutto il possibile. La soluzione che prevede di installare faccette o capsule sul dente è solamente un punto di arrivo, una soluzione finale che viene adottata come ultima alternativa. Questo per prediligere interventi meno invasivi e che puntino a preservare il dente originale: per questo solitamente viene interpellato un professionista di odontoiatria conservativa.

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Otturazioni in composito: perché macchiano i denti

Nel momento in cui una carie ha raggiunto la profondità del dente diventa opportuno rimuovere il tessuto cariato e otturare ciò che resta. In questo modo il dente viene pulito e protetto da rischi futuri di infezione.

Per applicare un’otturazione il dente viene preparato secondo un preciso protocollo che prevede l’irruvidamento della superficie da ricostruire, l’applicazione dell’adesivo, la stratificazione e la modellazione del composito. Una volta terminata la procedura si prosegue con una prova masticatoria, per assicurarsi che il dente svolga la sua funzione, e una prova con filo interdentale, per verificare che non ci siano “gradini” ai margini dell’otturazione.

Anche le otturazioni però, col tempo, possono far emergere delle macchie sul dente. Il materiale per le otturazioni odontoiatriche è composto da due sostanze: i cristalli e il riempitivo. Soprattutto in passato, le proporzioni tra i due materiali privilegiavano il riempitivo. In questo modo il tessuto del composito risulta poroso e di conseguenza a lungo andare i coloranti si possono infiltrare senza incontrare solide resistenze. Per questo motivo, soprattutto per le otturazioni realizzate in passato, è possibile riscontrare delle pigmentazioni del materiale a danno dell’estetica del dente.

Di fronte a questa situazione si decide di sostituire l’otturazione con un amalgama meno poroso. Se questo non è possibile, si procede all’applicazione di faccette che coprano il dente, aggiungendo un ulteriore grado di protezione.

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Occlusione centrica e massima intercuspidazione: perché sono importanti

La masticazione deve essere un atto comodo e rilassato. Quando non è così, bisogna rivolgersi subito a un esperto. La mandibola si occlude più di duemila volte al giorno e il suo movimento è governato dall’articolazione temporo mandibolare, detta in gergo tecnico ATM.

In condizioni ideali l’estremità dell’articolazione, ovvero il condilo, è posizionato al centro della cavità glenoidale che lo accoglie e il movimento della mandibola è perfettamente centrato. Quando questo accade, se serriamo i denti la chiusura è perfettamente centrale e abbiamo il massimo numero di contatti possibili tra le arcate: raggiungiamo la massima intercuspidazione.

Nel corso degli anni, però, l’equilibrio della masticazione può rompersi: la perdita di un dente è la causa più comune, ma anche l’erosione per bruxismo o il semplice processo di crescita possono creare situazioni che vanno corrette il prima possibile.

Se non si interviene il paziente rischia di abituarsi ad una malocclusione che nel tempo crea dei disagi alla masticazione e dei danni importanti all’articolazione temporo mandibolare.

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Occlusione abituale e massima intercuspidazione

Con il termine relazione centrica si descrive quella situazione ideale per cui l’occlusione della mandibola è perfettamente centrata e la posizione del condilo sulla cavità dell’articolazione temporo mandibolare è la più alta possibile. In questo stato, i denti si toccano nel numero più alto di punti possibile: si verifica dunque la massima intercuspidazione.

Tuttavia, quasi nessuno ha la fortuna di vivere questa situazione e la maggior parte delle persone non ha una relazione perfetta tra condilo e cavità glenoidale. La chiusura di conseguenza non è centrale, ma inizialmente questo non procura fastidi: i muscoli che governano la posizione della mandibola infatti trovano uno stato di equilibrio che possa conciliare l’articolazione, la conformazione delle arcate e la loro tensione. Questo stato viene chiamato occlusione abituale.

Questo equilibrio può essere deleterio nel tempo o addirittura alterarsi nel caso della perdita di uno o più denti.

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Quando l’equilibrio si rompe: tensione muscolare

Quando si perde un dente viene eliminato un elemento chiave nel gioco delle forze che agiscono nella bocca. La perdita ha delle conseguenze sui denti vicini, che cercanno di riposizionarsi. Nel tempo c’è il rischio che questi si piegano e il paziente va incontro alla limitazione dell’apertura della bocca. Questi cambiamenti vanno a stressare la mandibola, a cui viene chiesto lo sforzo di adattarsi nei movimenti.

Prima che questo accada, i muscoli masseteri e temporali vanno in tensione cercando di mantenere la mandibola nella posizione abituale. Questa tensione è motivata dall’assenza di un sostegno che fino a poco tempo prima era presente, ovvero quello del dente caduto. La masticazione con questi muscoli tesi più del solito risulta fastidiosa e impegnativa.

Una volta che i denti completano il loro processo di riposizionamento, i muscoli trovano un nuovo stato di equilibrio, ma la mandibola continua a soffrire e l’occlusione centrica è perduta. In questi casi è fondamentale intervenire il prima possibile sul paziente. Infatti prima si interviene e più è facile ristabilire l’altezza di masticazione corretta e riportare l’articolazione e muscoli in una condizione di equilibrio.

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Gli obiettivi del trattamento: avvicinarsi alla condizione ideale dell’occlusione centrica

Quando si è di fronte a casi di rottura dell’occlusione centrica e dell’equilibrio di masticazione, le terapie hanno fondamentalmente 5 obiettivi di priorità variabile da caso a caso:

  1. Correggere il rapporto condilo-discale. Il primo obiettivo è quello di curarsi che il condilo sia portato nella posizione migliore possibile e che accompagni al meglio il processo di masticazione. Correggere il rapporto tra condilo e cavità glenoidale permette all’articolazione di non deteriorarsi e danneggiarsi nel tempo e di riavvicinarsi alla massima intercuspidazione;
  2. Procurare rilassamento muscolare. Quando un paziente termina la terapia non deve avere la sensazione di tenere sempre sotto sforzo i muscoli masseteri e temporali. Essi sono responsabili dell’avanzamento e dell’arretramento della mandibola e devono trovare un punto di equilibrio confortevole in cui la loro azione è bilanciata e rilassata;
  3. Contrastare il serramento notturno o bruxismo. Il digrignamento dei denti, soprattutto nel caso di bruxismo dei bambini, è una delle condizioni più frequenti che genera problemi articolari e di masticazione nel tempo. Contrastare il bruxismo evita l’erosione dei denti e aumenta il rilassamento muscolare soprattutto nelle ore notturne;
  4. Riposizionare la mandibola affinché non vada ad inficiare sull’attività funzionale e strutturale del rachide cervicale. Questo obiettivo permette un miglioramento della postura dell’area cervicale, che è strettamente collegata a mandibola e lingua.
  5. L’eliminazione della propriocezione dell’occlusione abituale.

Data l’importanza e l’entità delle terapie che si protraggono nel tempo è bene affidarsi a un dentista esperto a cui rivolgersi non solo nell’emergenza, ma anche per dei check-up periodici.

Leggi anche l’articolo: Qual è la differenza tra ortodonzia estetica e ortodonzia classica?

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Qual è la differenza tra ortodonzia estetica e ortodonzia classica?

L’ortodonzia è una branca dell’odontoiatria che studia la disposizione dei denti e i rapporti che essi hanno con il resto del cavo orale. L’obiettivo dell’ortodonzia è risolvere gli squilibri che crea un’errata morfologia dentale, migliorando respirazione, masticazione e fonazione.

La terapia ortodontica produce risultati migliori se iniziata da giovani, dato che si interviene già nel processo di crescita e di costituzione della dentatura. Tuttavia, anche gli adulti si affacciano all’ortodonzia ottenendo comunque buoni risultati: nel loro caso, oltre al trattamento ortodontico può rendersi necessaria un’operazione maxillo-facciale o l’inserimento di protesi per correggere le situazioni più gravi.

L’ortodonzia può essere divisa in alcune categorie che in questo articolo analizzaremo. Allineare i denti, sia da giovani che da adulti, è importante e non solo per motivi estetici: una dentatura corretta evita di sviluppare problemi articolari come i disturbi temporo mandibolari, infettivi e ossei.

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Tipologie di ortodonzia

Sono quattro le categorie in cui si declina l’ortodonzia. La prima distinzione che possiamo fare è tra ortodonzia fissa e mobile.

L’ortodonzia fissa utilizza dispositivi che vengono attaccati in maniera permanente ai denti del paziente fino al termine della cura. I vantaggi di questa scelta sono l’azione continua che l’apparecchio esercita sulla dentatura e il fatto che il paziente non debba preoccuparsi di mettere e togliere il dispositivo in continuazione.

Per quanto riguarda l’ortodonzia mobile, essa fa uso di dispositivi rimovibili che vanno indossati almeno per un determinato numero di ore al giorno, in base alla terapia prescritta dall’odontoiatra. I vantaggi di questa categoria sono la possibilità di avere una miglior igiene orale e di poter evitare di indossare il dispositivo per tutto il giorno.

Oltre a questa categorizzazione, possiamo distinguere le varie soluzioni ortodontiche in visibili e invisibili.

L’ortodonzia visibile prevede l’installazione di apparecchi visibili da chi guarda il sorriso del paziente. L’ortodonzia visibile è anche detta classica in quanto è storicamente più longeva.

L’ortodonzia invisibile, o estetica, è una novità degli ultimi anni e consiste nell’applicazione di dispositivi invisibili, sia fissi che mobili, per correggere la posizione dei denti. Si tratta di soluzioni più costose rispetto a quelle classiche, ma hanno il vantaggio di non intaccare l’estetica del sorriso del paziente per tutta la durata del trattamento.

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Ortodonzia fissa

L’ortodonzia fissa è un trattamento che prevede l’installazione di apparecchi fissi, che restano attaccati ai denti del paziente per tutta la terapia. Si preferisce adottare questa soluzione soprattutto per permettere spostamenti ampi e complicati all’interno della dentatura. Infatti, la forza esercitata da dispositivi fissi è solitamente maggiore rispetto a quella esercitata dai dispositivi mobili.

L’apparecchio fisso può essere metallico o trasparente in ceramica. Si può optare anche per staffe linguali che, invece di posizionarsi all’esterno dell’arcata, si applicano al suo interno, riducendo la visibilità del dispositivo al minimo indispensabile.

Durante la prima settimana di applicazione il paziente potrebbe sentire un fastidio più o meno intenso dovuto alle nuove forze agenti sulla dentatura, ma seguendo i consigli del dentista, si può gestire al meglio questo periodo.

 

Ortodonzia mobile

L’ortodonzia mobile consiste nell’applicazione di dispositivi rimovibili dal paziente. Può essere intrapresa sia da bambini che da adulti, ma va sempre rispettata l’indicazione del dentista sui tempi di utilizzo.

Gli apparecchi per ortodonzia mobile si dividono in tre gruppi:

  • Meccanici: la classica placchetta mobile, usata per spostare i denti o in funzione di mantenimento post-terapia.
  • Monoblocco: utili non solo per correggere la posizione dei denti, ma per indirizzarli anche durante la crescita.
  • Estetici: si tratta delle mascherine trasparenti rimovibili, utili a correggere i disallineamenti più piccoli.

 

Ortodonzia invisibile

L’ortodonzia invisible è nata principalmente per venire incontro alle esigenze estetiche di chi necessita di terapie ortodontiche. Sono incluse nella categoria dell’ortodonzia invisibile:

  • L’ortodonzia linguale: che prevede dispositivi installati all’interno dell’arcata invece che davanti, riducendo al minimo la loro visibilità.
  • Mascherine trasparenti: ovvero dispositivi mobili facilmente indossabili e removibili dal paziente. Si tratta della soluzione meno visibile in assoluto ed è adatta soprattutto per le correzioni più piccole.

E’ fondamentale per questo tipo di terapie la collaborazione del paziente che è chiamato a rispettare i tempi di utilizzo del dispositivo affinché il trattamento abbia effetto. Le tecniche di ortodonzia invisibile sono in costante sviluppo e il loro obiettivo è cercare di conseguire lo stesso risultato di quelle più ‘classiche’, rispettando l’estetica del sorriso dei pazienti.

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Perché raddrizzare i denti è importante

Intraprendere un percorso di ortodonzia, che sia essa ‘classica’ o ‘invisibile’, con apparecchi fissi o mobili, è importante e non solo per motivi estetici. Dei denti posizionati correttamente permettono di evitare problemi articolari della mandibola, respiratori e di fonazione.

Per esempio, in presenza di un dente inclinato, l’altezza di masticazione si riduce e l’articolazione inizia a schioccare e a deteriorarsi col tempo. Inoltre, nella zona del dente inclinato è difficile la pulizia quotidiana, lasciando spazio ad alterazioni del cavo orale come la carie dentale. Il fattore estetico, dunque, è solo una conseguenza dell’avere una dentatura ben posizionata e in salute.

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Disturbi temporo mandibolari: limitazione apertura della bocca

I disturbi all’articolazione temporo mandibolare (abbreviata in ATM) spesso sono prevenibili, a patto di conoscerne le cause. L’articolazione della mandibola è una delle più complicate che possediamo: è composta dal condilo mandibolare, dalla cavità glenoidea dell’osso temporale e da un disco fibrocartilagineo tra i due, che evita gli sfregamenti.

Uno dei disturbi che interessano maggiormente l’ATM è il mancato rapporto occlusale che determina l’accorciamento dell’altezza di masticazione: gli equilibri delle forze del cavo orale si alterano e tutto ciò si ripercuote sull’articolazione. In questo quadro clinico l’articolazione duole, schiocca o provoca addirittura cefalea, quindi bisogna intervenire il prima possibile per evitare che lo strato fibroso e di cartilagine si deteriorino definitivamente.

Per prevenire questi disturbi bisogna ripristinare l’altezza di eventuali denti abrasi, sistemare le otturazioni incongrue,  riparare i denti scheggiati, sostituire i denti mancanti e riconoscere e curare il bruxismo il prima possibile. Queste sono le cause più frequenti del progressivo deterioramento dei denti e dell’articolazione.

Il lavoro congiunto dello specialista in ortodonzia e dell’esperto in implantologia può risolvere facilmente il problema ristabilendo l’altezza di masticazione e il giusto movimento della mandibola.

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Struttura dell’articolazione temporo mandibolare

Le articolazioni temporo mandibolari congiungono le ossa temporali del cranio alla mandibola. Sono due, una per lato del viso, e si trovano sotto alle orecchie.

La struttura e la meccanica dell’articolazione sono particolarmente complesse. Le parti che la compongono sono:

  • Il condilo della mandibola che è un processo dell’osso mandibolare che si estende a forma di oliva da ognuno dei lati dell’osso.
  • La cavità glenoidea dell’osso temporale.
  • Un disco fibroso e di cartilagine che si pone tra i due ed evita la presenza di attriti.

Nel momento in cui apriamo la bocca, l’articolazione temporo mandibolare si muove seguendo tre fasi. Nei primi 25 mm di apertura c’è una rotazione pura del condilo mandibolare, nei successivi 20 mm esso inizia a scivolare in avanti e, negli ultimi 5 mm, ruota ancora. Il disco si muove insieme al condilo per mantenere i contatti articolari.

L’apertura e la chiusura della cavità orale non sono gli unici movimenti permessi dall’ATM. Essa, infatti, permette anche la protrusione della bocca e la sua lateralizzazione.

Una delle articolazioni più complicate del corpo, insomma, che può infiammarsi e deteriorarsi se non si fa attenzione alla salute e alla posizione dei propri denti.

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Disturbi temporo mandibolari: le cause e i sintomi principali

Quando c’è un problema all’articolazione temporo mandibolare i sintomi rilevati dal paziente sono vari e non specifici. Tra i più comuni abbiamo:

  • Dolore all’articolazione.
  • Schiocchi o rumori di sfregamento.
  • Limitazione o deviazione dell’apertura della bocca.
  • Mal d’orecchio o ronzii e fischi.
  • Cefalea, capogiri o vertigini.

In presenza di questi sintomi è necessario fare un controllo presso un dentista esperto che può diagnosticare con tramite un esame obiettivo o grazie alla diagnostica per immagini i disturbi all’ATM.

La causa più comune di questo deterioramento dell’articolazione temporo mandibolare è la riduzione dell’altezza di masticazione. Ciò accade quando i denti subiscono nel tempo delle alterazioni che vanno dall’abrasione, alla caduta. Infatti, soprattutto nel momento in cui si perde un dente, le forze presenti nella bocca si ribilanciano, i denti tendono a modificare il loro orientamento andando verso lo spazio vuoto e riducendo di conseguenza l’altezza di masticazione.

Se il dente o i denti sono assenti solo lungo un lato dell’arcata si crea una asimmetria, quindi i disturbi si presentano tipicamente solo da un lato. Mentre, se i denti sono assenti da entrambi i lati dell’arcata si va incontro ad un danneggiamento più grave nel tempo dell’ATM che tende a compensare di continuo.

Il danno è proporzionale al numero di denti persi e al tempo in cui si è stati senza sostituirli. Per questo non bisogna trascurare ogni tipo di alterazione del cavo orale e ogni disturbo che rientra in questa casistica.

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Prevenzione e cura

Per prevenire i disturbi all’ATM occorre rivolgersi ad un dentista esperto che deve tenere in condiderazione una serie di fattori:

  • Osservare se il paziente presenta sintomatologia e segni di bruxismo
  • Osservare se gli spazi e l’allineamento dei denti risulta corretto
  • Analizzare lo stato delle otturazioni
  • Analizzare l’integrità dei denti
  • Verificare la presenza di tutti i denti lungo le arcate

Più tempo passa senza che vengano presi dei provvedimenti e più il danno sarà maggiore: in quanto l’articolazione interessata viene utilizzata quotidianamente dal paziente. Se l’equilibrio su cui opera non è perfetto si va incontro a seri problemi, in quanto all’inizio si deteriorerà il disco fibroso dell’articolazione, poi toccherà alla cartilagine e infine alle ossa che sfregheranno l’una sull’altra.

La cura va eseguita in coppia dall’ortodonzista e dall’implantologo. Il primo si occupa di riportare i denti alla posizione corretta, creando gli spazi adatti; mentre il secondo riempie gli spazi vuoti causati dall’edentulia con gli impianti.

L’implantologia può avvenire su un solo dente, su un settore o su un’intera arcata dipendentemente dalla gravità della situazione. I denti sotto stretta osservazione sono i molari in quanto definiscono l’altezza di masticazione: quando il paziente chiude la bocca è l’appoggio piatto di questi denti che determina l’occlusione più o meno corretta.

Limitazione apertura della bocca: perchè evitare le protesi mobili

Perchè è meglio evitare le protesi mobili? Purtroppo questo tipo di protesi, per quanto possano essere considerate comode nel breve periodo, generano nel tempo problemi di natura funzionale determinando la limitazione dell’apertura della bocca. Questo si verifica perchè simili protesi, appoggiandosi sulla gengiva, generano il riassorbimento dell’osso sottostante andando così a ridurre l’apertura verticale del cavo orale: perchè per recuperare questa ritrazione ossea occorrono protesi sempre più lunghe che diventano ingombranti e di difficile gestione per il paziente.

Meglio quindi sempre optare per un impianto fisso che ristabilisce e bilancia i rapporti di forza della cavità orale, evitando di impattare negativamente su gengive e ossa.

Leggi anche l’articolo: Bruxismo bambini: riconoscimento, cause, terapia

 

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Bruxismo bambini: riconoscimento, cause, terapia

Il bruxismo notturno è molto frequente nei bambini in età scolare, in particolare nei bambini tra i 5 e i 7 anni e nei ragazzini tra gli 11 e i 12 anni. Può essere un disturbo ereditario e si presenta nei maschi più frequentemente che nelle femmine.

Questo disturbo consiste in un’attività ripetitiva e incontrollata dei muscoli masticatori che continuano a serrare la mandibola contro la mascella anche quando la bocca non è coinvolta in movimenti funzionali come masticare o parlare.

Le conseguenze del bruxismo infantile possono essere anche piuttosto gravi, per questo è assolutamente necessario procedere a una diagnosi precoce del disturbo ed eseguire controlli periodici della dentatura del bambino per valutare la gravità del fenomeno e poi lavorare per definire una strategia di intervento.

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Bruxismo bambini: come riconoscerlo

Sono solitamente i genitori a riconoscere i primi segni di bruxismo notturno nei propri figli. I bambini che digrignano i denti di notte, infatti, producono un caratteristico rumore metallico a volte talmente forte da poter essere udito attraverso le pareti. Si tratta di un suono inconfondibile che difficilmente viene attribuito a una causa diversa dal bruxismo.

Tra gli altri sintomi del bruxismo infantile ci sono:

  • Stanchezza apparentemente immotivata, dovuta al fatto che il bambino non riesce a riposare in maniera soddisfacente.
  • Malessere generale e irritabilità al risveglio a causa dei microrisvegli da bruxismo che interrompono il sonno e che quindi fanno calare drasticamente la qualità del riposo notturno.
  • Affaticamento dei muscoli deputati alla masticazione, usura dei denti, mal di testa sono tutti sintomi che possono aiutare a confermare l’ipotesi che il bambino soffra di bruxismo notturno.

Bisogna specificare però che anche la comparsa contemporanea di tutti questi sintomi non conduce direttamente all’effettiva diagnosi di bruxismo, che può essere eseguita solo attraverso u nesame specifico: la polisonnografia. Questo esame consiste nel monitorare l’attività elettromiografica dei muscoli masticatori durante il sonno e nell’osservazione dei video registrati durante il riposo del piccolo paziente per esaminarne il comportamento notturno.

I bambini che digrignano i denti nel sonno, infatti, cambiano spesso posizione a causa dei microrisvegli indotti dal bruxismo o dai problemi respiratori che possono essere considerati una concausa del bruxismo stesso.

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Bruxismo notturno bambini: cause

Non si può parlare di un’unica causa per il bruxismo infantile. Questo disturbo deriva spesso da un insieme di cause di varia natura.

Lo stress emotivo è indicato spesso come la causa principale di bruxismo infantile. La separazione dei genitori, oppure la nascita di un nuovo fratellino sono tra le cause manifeste di stress nei bambini, ma non bisogna trascurare l’esame delle cause di stress meno palesi.

Problemi nei rapporti con i compagni di scuola oppure lo stress legato al passaggio da una scuola di grado inferiore a quella di grado superiore sono possibilità che vanno sempre prese in considerazione.

Anche la paura di andare a letto o di addormentarsi può essere causa scatenante del bruxismo, poiché il bambino entra in contatto diretto con quelle paure razionali e irrazionali che riesce a tenere a bada durante il giorno, grazie alla compagnia degli adulti e allo svolgimento di attività che lo tengono impegnato.

Un’altra causa del bruxismo infantile è la predisposizione genetica e quindi l’ereditarietà familiare del disturbo. Uno dei primi controlli da fare quando si teme che il bambino digrigni i denti nel sonno è chiedere ai parenti più prossimi se da bambini hanno sofferto di bruxismo.

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Terapia del bruxismo infantile

Quando i sintomi a cui abbiamo accennato si manifestano in maniera chiara e continuativa si parla di bruxismo probabile. In questo caso è necessario sottoporre il piccolo paziente a un controllo odontoiatrico e, nella maggior parte dei casi, il medico propone soltanto di tenere il fenomeno sotto osservazione senza intervenire.

Questa scelta è motivata dal fatto che, in linea generale, il bruxismo nei bambini tende a scomparire spontaneamente alla fine dell’eruzione di tutti i denti da latte.

Qualora questo disturbo dovesse continuare a manifestarsi anche dopo l’eruzione dell’ultimo molare deciduo, allora si può prendere in considerazione un intervento attivo da parte dell’odontoiatra.

Dopo aver diagnosticato con certezza il bruxismo, il dentista controlla se tra le cause scatenanti del disturbo ci siano la forma e le dimensioni del palato: eventualmente occorre ricorrere a determinati apparecchi ortodontici per creare il giusto spazio. Il bite che viene usato nei pazienti adulti è sconsigliato per i bambini.

In ogni caso è sempre meglio fare un percorso con uno specialista in odontoiatria pediatrica.

Leggi anche l’articolo: Iperplasia gengivale: cos’è, cause e cura

 

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Iperplasia gengivale: cos’è, cause e cura

L’iperplasia gengivale è una patologia che consiste nella crescita abnorme del tessuto gengivale, il quale arriva a coprire ampie parti dei denti, talvolta rendendo addirittura difficoltose la masticazione e l’articolazione delle parole.

L’aumento incontrollato delle dimensioni delle gengive è provocato da un’infiammazione acuta del tessuto gengivale che può essere provocato da vari fattori, tra cui l’assunzione di alcuni tipi di farmaci.

Purtroppo questa patologia causa gravi problemi di autostima alle persone che ne soffrono, dal momento che causa deficit estetico significativo. Fortunatamente si tratta di una patologia che è possibile trattare sia attraverso un approccio farmaceutico sia attraverso un approccio più pertinente alla chirurgia.

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Iperplasia gengivale – cosa è

Come già accennato, l’iperplasia gengivale è l’aumento incontrollato del numero delle cellule delle gengive, che finiscono per inglobare i denti al loro interno impedendo una corretta masticazione e addirittura una corretta disposizione dei denti.

I sintomi più comuni dell’iperplasia, conosciuta anche come ipertrofia gengivale, sono:

  • gengive sovradimensionate e infiammate
  • alitosi
  • dolore acuto durante la spazzolatura dei denti
  • difficoltà durante la masticazione e l’articolazione delle parole.

È stato constatato che l’iperplasia si manifesta più spesso in soggetti maschi e giovani, soprattutto se trascurano o eseguono in maniera insoddisfacente l’igiene orale quotidiana. Infatti, anche se non sempre la presenza di placca è una causa sufficiente al manifestarsi dell’iperplasia, è certamente un fattore aggravante di questa condizione della bocca.

Se si manifesta in bambini tra i 5 e i 12 anni, cioè nel periodo in cui i denti decidui vengono sostituiti dai denti permanenti, l’eruzione dei denti permanenti potrebbe risultare ritardata o avvenire in maniera disordinata.

Oltre a generare problemi nello svolgimento di funzioni necessarie all’organismo come il nutrirsi, l’iperplasia è un grosso ostacolo alla vita sociale del paziente che ne soffre, il quale può arrivare a trovare difficile sorridere, parlare o mangiare in pubblico.

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Iperplasia gengivale – cause

L’infiammazione delle gengive che scatena l’ipertrofia gengivale può essere causata da vari fattori, tra i quali il più comune è la scarsa o scorretta igiene orale.

La placca è infatti la causa più frequente dell’infiammazione gengivale, non soltanto in pazienti che soffrono di iperplasia, ma anche nei pazienti che soffrono di altri tipi di patologie.

Nel tentativo di combattere l’infezione causata dalla placca, le gengive tendono a ingrossarsi, arrossarsi e sanguinare ed è questo che dà origine ai principali sintomi dell’ipertrofia gengivale.

Tra le possibili cause dell’iperplasia si annoverano anche i cambiamenti ormonali che si verificano in gravidanza nel corpo delle donne. Una volta portata a termine la gestazione, cioè a parto avvenuto, i livelli ormonali delle donne tornano a livelli normali e si assiste a un naturale e spontaneo regredire dell’iperplasia gengivale.

Purtroppo anche il diabete, la leucemia, l’HIV, il morbo di Crohn, il diabete, il linfoma e carenze vitaminiche di vario tipo possono comportare l’iperplasia gengivale. In questi casi il trattamento di queste patologie è in grado di far rientrare o comunque di indurre la diminuzione dell’iperplasia.

Alcune molecole farmacologiche come la nifedipina (un farmaco calcio – antagonista), la ciclosporina (un immunosoppressore) e la fenitoina (un antiepilettico) sono tra le cause dirette dell’iperplasia.

Ci possono essere infine cause genetiche ereditarie per l’iperplasia gengivale: l’incidenza di questo problema è di 1 caso ogni 350.000 individui. In questo caso le gengive non appariranno infiammate, ma rosee e in piena salute. Il loro accrescimento abnorme è dovuto semplicemente a un’eccessiva produzione di collagene da parte dell’organismo.

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Ipertrofia gengivale – cura

L’iperplasia gengivale può essere curata risolvendo le cause dell’infezione gengivale.

Dal momento che la placca è la causa più frequente di infezione, è sufficiente indurre il paziente ad eseguire una continua, corretta e costante igiene dentale grazie all’utilizzo di strumenti adeguati come spazzolino (possibilmente elettrico), scovolino o filo interdentale, collutorio antibatterico. Sarà inoltre buona abitudine sottoporsi periodicamente all’igiene orale professionale.

Se la causa scatenante dell’iperplasia è la terapia farmacologica con i farmaci già elencati, la sospensione della terapia e la sostituzione dei farmaci in questione sarà l’unica cura possibile per la risoluzione del problema.

Quando l’iperplasia si presenta per cause genetiche, l’unico modo per liberare i denti e rendere più semplice la masticazione è agire per via chirurgica, rimuovendo con il laser o con il bisturi il tessuto gengivale in eccesso. Non bisogna dimenticare però che il tessuto gengivale tornerà ad accrescersi a causa della continua produzione di collagene, quindi potrebbe essere necessario sottoporre il paziente a uno o più interventi successivi di gengivectomia.

Un’alternativa, sempre di tipo chirurgico, è un intervento nel lembo parodontale, che consiste nell’apertura delle gengive, nella rimozione chirurgica della placca annidata sotto le gengive e sull’osso, quindi nel riposizionamento delle gengive più in basso rispetto alla condizione iniziale. L’obiettivo di questo intervento è di limitare la quantità di placca presente in prossimità delle gengive e favorire una più veloce guarigione dell’infiammazione. Inoltre il riposizionamento delle gengive consente di lasciare scoperta una porzione di dente sufficiente alla masticazione.

Leggi anche l’articolo: Rigenerazione ossea dentale: cos’è e quando farla

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Rigenerazione ossea dentale: cos’è e quando farla

La rigenerazione ossea è una particolare tecnica di ricostruzione che si esegue su pazienti che soffrono di malattie paradontali, che sono stati sottoposti ad interventi di rimozione dentale che hanno ridotto la consistenza dell’osso mandibolare o mascellare o semplicemente hanno perso uno o più denti.

Questa tecnica consente di ripristinare lo spessore, l’altezza e la solidità dell’osso compromesso al fine di poter operare su di esso innesti dentali e altri interventi.

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Rigenerazione ossea dentale: definizione

La rigenerazione ossea dentale è una tecnica chirurgica molto all’avanguardia che consiste nell’applicazione di miscele di osso sintetico e osso organico sull’osso da rigenerare, fornendo quindi all’organismo la materia prima necessaria a ripristinare il volume osseo laddove è carente.

L’innesto osseo viene sempre protetto da una membrana, che impedisce alle cellule gengivali di svilupparsi al di sopra dell’innesto. Questo accorgimento è necessario poiché le cellule gengivali si sviluppano molto più velocemente di quelle ossee, e potrebbero ricoprire l’innesto prima che le cellule ossee si siano moltiplicate come desiderato.

Questa tecnica si utilizza generalmente a seguito di carenza di perdite o estrazioni dentali che hanno compromesso la solidità dell’osso mascellare, malattie paradontali, rimozione di cisti e neoplasie, osteoporosi, erosione dell’osso in un paziente che ha portato a lungo una protesi mobile.

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Rigenerazione ossea dentale: tipi di innesto

Le tecniche utilizzate per questa pratica sono essenzialmente due:

  • Rigenerazione con membrane riassorbibili

Questa tecnica prevede l’applicazione di un innesto osseo particolato, composto da osso sintetico e osso biologico (proveniente da animali, prelevato dallo stesso paziente o da un donatore), al di sotto di una membrana progettata per essere riassorbita dai tessuti e fissata con un micro pin in platino. Quando la membrana si sarà disciolta il dentista dovrà soltanto rimuovere il pin. Questo tipo di membrana è particolarmente utile negli interventi necessari a ripristinare lo sviluppo orizzontale dell’osso.

  • Rigenerazione con membrane non riassorbibili

Il sistema di applicazione è identico al precedente, ma la membrana non riassorbibile viene utilizzata per ripristinare ossa profondamente danneggiate, che hanno perso principalmente millimetri in altezza o contemporaneamente altezza e spessore. Questo tipo di membrana permette di risolvere anche problemi molto gravi: è realizzata in politetrafluoroetilene espanso con un’anima in titanio ed è fissata con pin o microviti in titanio.

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Decorso post-intervento e benefici

Dopo l’intervento è strettamente necessario che il paziente eviti alcool, fumo e caffè per almeno 3 giorni, al fine di non compromettere la corretta cicatrizzazione dei tessuti.

Successivamente si deve disinfettare la ferita con collutorio antibatterico evitando di sfregare la zona con uno spazzolino. Si può utilizzare uno spazzolino a setole morbide sulla zona circostante la ferita solo alcuni giorni dopo l’intervento.

La rimozione dei pin ed eventualmente della membrana avviene 9 mesi dopo la loro applicazione e, successivamente, si può procedere a effettuare tutti gli interventi di chirurgia odontoiatrica necessari al paziente, come l’inserimento di impianti fissi.

Il principale vantaggio della rigenerazione ossea consiste nella possibilità di ripristinare completamente la funzionalità dentale preservando la fisionomia del paziente. Si tratta inoltre di un’operazione praticamente indolore poiché viene solitamente effettuata con un paziente in anestesia vigile.

Leggi anche l’articolo: Anestesia dal dentista: funzionamento e tipologie

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Anestesia dal dentista: funzionamento e tipologie

Per moltissimi pazienti l’immagine della sedia del dentista è direttamente collegata al dolore che si prova nel corso delle visite. Fortunatamente però l’odontoiatria ha sviluppato una serie di procedure anestetiche estremamente efficaci e versatili che, nella stragrande maggioranza dei casi, non sviluppano effetti collaterali.

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Anestesia dal dentista: funzionamento

L’anestesia dal dentista viene utilizzata esclusivamente nel corso di piccoli o grandi interventi di chirurgia odontoiatrica. Il professionista sceglie, tra le varie tipologie di anestesia che gli è possibile praticare, quella più adatta al caso specifico e alle necessità del paziente.

In linea generale l’anestesia dal dentista, per il paziente, si risolve nella vaporizzazione di uno spray anestetizzante (nei casi in cui sia necessaria una breve e leggera anestesia locale) o in una piccola puntura indolore sul luogo interessato dall’intervento.

L’anestetico che viene iniettato nel paziente contiene solitamente lidocaina, mepicavacaina, bupivacaina e articaina in diverse concentrazioni, a seconda della profondità dell’anestesia che si intende ottenere.

Oltre all’anestetico si inietta nel paziente anche adrenalina che, grazie alla sua funzione vasocostrittrice, riduce il rischio di emorragie e allunga il tempo di efficacia dell’anestetico.

L’obiettivo dell’anestesia è indurre una perdita di sensibilità nella zona da trattare affinché i nervi non trasmettano al cervello gli stimoli dolorosi: così facendo non vengono percepiti.

La durata dell’anestesia viene calibrata sulla durata dell’intervento da eseguire e in genere il suo effetto scompare nel giro di 3 o 4 ore dal momento dell’iniezione. Bisogna specificare però che alcuni pazienti potrebbero smaltire l’anestetico più velocemente o più lentamente della media.

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Anestesia dentale: tipologie

Come già accennato esistono diversi tipi di anestesia dentale, ognuno dei quali in grado di rispondere a determinate esigenze cliniche.

  • Anestesia Superficiale – Si limita ad anestetizzare la mucosa e si ottiene attraverso l’applicazione di un gel o di uno spray anestetizzante. È di breve durata e il suo effetto è circoscritto alla sola area su cui viene applicato l’anestetico.
  • Anestesia d’Infiltrazione – Si effettua iniettando l’anestetico direttamente nei tessuti da trattare ed è in grado di anestetizzare i tessuti in profondità.
  • Anestesia Tronculare (o del blocco nervoso) – L’anestetico si inietta nei pressi di un nervo periferico, in modo da raggiungere un’area più estesa rispetto a quella che sarebbe possibile raggiungere con i due precedenti tipi di anestesia. Naturalmente non è un’anestesia superficiale ma interessa anche tessuti siti più in profondità.
  • Anestesia Intraligamentosa – È stata sviluppata per sostituire la tronculare nel caso di pazienti affetti da diabete o malattie coagulative che, se si usasse la tronculare, potrebbero sviluppare emorragie. È l’unica tecnica che può essere impiegata sia da sola, che in combinazione con altre.
  • Anestesia Intrapulpare – Si impiega esclusivamente per trattare la pulpite in quei pochi pazienti refrattari all’anestesia. Si tratta di un’anestesia estremamente localizzata dal momento che la sua efficacia si applica alla sola polpa dentale del dente da trattare e ha un effetto immediato.
  • Anestesia Totale – Dal dentista raramente si viene sottoposti ad anestesia totale, ma questo tipo di anestesia si rivela necessaria quando si deve sottoporre il paziente a interventi molto invasivi di chirurgia maxillofacciale.

Leggi anche l’articolo: Denti sovrannumerari: cosa sono e come trattarli.

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Denti sovrannumerari: cosa sono e come trattarli

I denti sovrannumerari sono denti in eccesso che possono nascere in un qualsiasi punto del cavo orale e che peggiorano sensibilmente la salute della bocca di chi è affetto da questa patologia, il cui nome scientifico è iperdontia.

Anche quando non comporta seri problemi ortodontici avere un dente in più, soprattutto nella zona visibile delle arcate dentali, ha un impatto notevole sulla psicologia del paziente, che percepisce come “imperfetta” l’armonia del proprio sorriso.

La gestione dell’iperdontia comporta quindi due ordini di vantaggi: uno certamente relativo alla salute clinica del paziente, l’altro relativo all’accettazione della sua immagine.

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Denti sovrannumerari: condizione clinica

I denti sovrannumerari sono spesso denti veri e propri completamente formati, che spuntano a seguito di una predisposizione genetica. Possono però presentarsi anche come denti dismorfici, cioè di forma e dimensioni anomale rispetto a quelle del dente sano di un adulto, o rudimentali: non completamente sviluppati.

Si presentano con più frequenza nei maschi, possono essere sia decidui sia permanenti e tendono a svilupparsi lungo l’arcata superiore più che nell’arcata mandibolare.

La presenza di denti in più rispetto ai 20 denti da latte e ai 32 denti permanenti che costituiscono il numero normale per un adulto sano, a livello clinico comporta malocclusione, rotazione dei denti adiacenti, sovraffollamento dei denti, favorisce inoltre la formazione di placca batterica e può dar luogo ad accumulo di carie e alla periodontite.

La placca batterica si forma e si accumula sui denti a causa di un’igiene insufficiente. Lavare accuratamente una bocca in cui siano presenti denti sovrannumerari risulta molto complicato proprio a causa della vicinanza e della sovrapposizione dei denti, quindi le infezioni sono una conseguenza inevitabile di questa condizione. Anche le sedute di igiene orale professionale possono risultare difficoltose in base al posizionamento riscontrato.

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Dente sovrannumerario: diagnosi e trattamento

Come già detto, un dente sovrannumerario può nascere in qualunque punto della bocca tuttavia la maggioranza dei casi riguarda la comparsa accanto agli incisivi e ai primi molari. Più raramente accade che un dente in più spunti in posizione più arretrata, addirittura dietro l’ultimo molare.

Se il dente non è in una posizione visibile, la diagnosi si effettua attraverso esami ecografici per cui viene coinvolto il reparto di radiologia, spesso richiesti dal paziente per capire la causa del dislocamento di un dente sano oppure del ritardo nell’eruzione di un dente permanente.

Effettuare una diagnosi precoce è assolutamente fondamentale, poiché permette di trattare il dente sovrannumerario prima che si sviluppano problemi clinici come quelli già descritti.

Il trattamento dei denti sovrannumerari varia a seconda della loro posizione e anche del loro numero. Bisogna specificare comunque che fortunatamente nell’80% dei casi il dente in sovrannumero è uno solo e la sua estrazione risolve in maniera definitiva ogni problema.

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In alcuni casi, anche dopo la diagnosi si può scegliere di non intervenire sul dente in sovrannumero poiché esso non comporta al paziente disfunzioni masticatorie o problemi estetici particolari. Questa fortunata condizione si verifica quando i denti adiacenti sono riusciti a trovare spazio a sufficienza per erompere regolarmente dalla gengiva e quando la posizione del dente consente una pulizia corretta ed efficace della zona, evitando la formazione e l’accumulo di placca.

Leggi anche l’articolo: Gengive sanguinanti: cause e rimedi.